L’incertezza è una fiera difficile da domare, è una bestia come quei tori meccanici da sagra pittoresca. Ha la capacità di scalzare dalla sua groppa chiunque. Non c’è privilegio che tenga di fronte al suo potere corrosivo ma, al contempo, non c’è catena che resista innanzi alla sua capacità mostruosa di infondere una libertà quasi eccessiva. Ciò che è incerto resta nel regno dell’indefinito, è un disegno senza contorni precisi che può quindi evolversi in un capolavoro oppure in un mappazzone poco elegante. Cosa è capace di suggerirci il nostro animo in quei momenti in cui è come se la realtà apparisse simultaneamente ricca di possibilità e povera di prospettive? Abbiamo recentemente accolto l’idea che è fattibile, e a volte necessario, “strappare lungo i bordi”. A furia di strappare nelle nostre mani dovrebbero rimanere una matassa di carta da regalo e un dono nudo, forse inerme, forse forte, forse il nostro Io, forse i nostri sogni, forse la Verità di Fullmetal Alchemist oppure la trottola ancora in movimento di Inception.
Sono esattamente quattordici giorni che questo tema gira e rigira nella mia mente. Deve averla presa per una rotatoria senza sbocchi, oppure sta aspettando che venga portato a compimento il ponte sullo stretto di Messina. In un caso o nell’altro rimarrà molto tempo a farmi compagnia. Ben venga, è salutare pensare al baratro dell’incertezza! Qualunque sia la divinità lovecraftiana dietro questo tema che si senta avvertita, le menti degli esseri umani sono più labirintiche di quello che la letteratura e la serialità televisiva vogliono insinuare. Quindi, divinità avvisata mezza salvata.
Perché quattordici giorni? E’ il quattordici di Gennaio in questo momento e non lo sarà di sicuro quando leggerete questo piccolo contributo. Stiamo parliamo di qualcosa accaduto durante la notte di Capodanno. Immaginate la scena. Il televisore del salotto rumoreggiava al ritmo tutto particolare di Orietta Berti, si cercava convulsamente la bottiglia dello spumante da stappare per il grande evento (ossia che sui display del nostro belpaese cambiassero quasi tutte le cifre contemporaneamente!) e in cucina, per essere precisi sui fornelli spenti, un cotechino triste e solitario raggiungeva l’illuminazione definitiva che lo avrebbe condotto nello Shangri-La: “sono stato cucinato e lasciato a morire, in più per la seconda volta, dentro le lenticchie. Sedotto e abbandonato. Ma non è importante, nulla è importante”. Chissà cosa avrebbe pensato se avesse scoperto che nemmeno sarebbe stato mangiato.
Qualcuno nella compagnia vociferava di buoni propositi, forse ero proprio io, altri ridevano e scherzavano dell’onnipresenza del conduttore adesso inquadrato. Il tavolo era imbandito, assediato da un numero incalcolabile di bicchieri, bottiglie, posate, piatti, giochi da tavolo, gatti, asini volanti, orsetti gommosi dalle proprietà venefiche. Respiravamo il classico clima di fine anno?
Chi può dirlo, sicuramente qualcosa di singolare si respirava, ma non indagherei per puro timore personale.
Oggettivamente un anno travagliato stava per salutarci. See you space cowboy, a mai più rivederci, pensavo io, incapace come al solito di trovare una frase ad effetto originale. Non serviva scavare per trovare dei validissimi motivi per mandare il duemilaeventuno a far compagnia ai grandi dittatori della storia. Ci sentivamo anche traditi, diciamo la verità, da quell’anno figlio di un’altra annata pessima. Due anni di champagne avariato, vino scadente, amaro … amaro. Due anni di elucubrazioni continue all’interno di quattro mura domestiche. Due anni in cui le sicurezze avevano assunto la statura di statue gargantuesche. Un conto era la vita di prima, quando i pensieri un po’ si facevano ingombranti, un po’ si disperdevano nelle varie occupazioni della vita. Alcuni venivano lasciati dal salumiere, altri sui mezzi pubblici, c’erano quelli che si impelagavano tra i fili metallici dei tralicci e infine quelli che al primo sbadiglio del vento coglievano l’occasione per comportarsi come l’adorato trio del Team Rocket. La vita di adesso era-
“Correte, tutti qui, c’è il conto alla rovescia!”
Da quando il conto alla rovescia è una cosa positiva? Sta per scoppiare una bomba? La fine del mondo? Cosa si rovescerà? Chi sta contando? Chi diavolo sta contando?
“Dieci, nove, otto.”
Numeri rassicuranti, per qualche motivo.
“Sette, sei, cinque, quattro.”
Questi di meno, forse l’istruzione scolastica obbligatoria ci ha traviato.
“Tre.”
It’s the magic number.
“Due, uno.”
…
“Auguri, auguri a tutti!”
Nulla è esploso, nulla si è rovesciato. Ne eravamo certi, eppure.
L’incertezza aveva allungato ancora i suoi artigli gusto caramello.
Sapete cosa, andiamo fuori, festeggiamo all’aria aperta. Vediamo chi farà lo stesso. Saluteremo le persone che si sporgeranno dalle case adiacenti. Rideremo dei Babbi Natale ancora appesi alle persiane, delle lucette appese al vuoto. Faremo gestacci nascosti agli automobilisti. Loro non vedranno noi e noi non vedremo loro.
Sì, dai. Usciamo, èilduemilaeventiduecavolo!
Fuori c’era la nebbia. Sarebbe stato difficile vedere addirittura Godzilla in quella trama fitta e lattescente. Eravamo appoggiati ad una ringhiera. Alla nostra sinistra c’erano delle scale che poi svoltavano.
Oltre, la nebbia.
La punta rossa di una sigaretta volteggiava nell’aria tracciando disegni astratti, simboli sumeri, geroglifici egizi.
Navigheremo a vista.
Anche questa volta navigheremo a vista.
Un passo dopo l’altro, una bracciata dopo l’altra, in bocca al lupo, anzi, in culo alla balena.
Quell’idea mi ha elettrizzato come un fulmine imprevisto.
Il cotechino aveva quindi vinto contro quella assurda divinità lovecraftiana.
Shangri-La 1, Ignoto 0.
P.S. Ho attribuito frasi e pensieri in maniera del tutto arbitraria. Consideratela la pennellata impressionista del giullare. O quella del bugiardo, fate voi.
Photo by Jakub Kriz