Caciara

“Mi piace, non saprei dire perché, è così misterioso, così enigmatico, così oscuro”, si potrebbe leggere in un romanzo gotico dell’Ottocento scritto molto male oppure nei sospirosi diari di una ragazzina. Vale anche per i ragazzini, mi raccomando, magari con qualche piccola variazione nel lessico e nel tono perché si sa, in loro il linguaggio si sviluppa più lentamente. Par condicio docet.
“Che sballo, è una forza. Si comporta in maniera così audace, così diretta, così spregiudicata”, si potrebbe sentir dire in un bagno maschile del comprensorio liceale, nell’intervallo tra un’ora e l’altra, quando la tensione si scioglie e qualche ormone non castrato trova il modo di rivalersi di fronte all’autorità scolastica.

L’adolescenza si svolge così, come un bandolo lanciato in una stanza dalle pareti di gomma. Ed eccolo che rimbalza, adesso sul soffitto, poi sul pavimento e infine in una serie di evoluzioni tra le mura laterali che nemmeno Tania Cagnotto sarebbe stata in grado di prevedere. Le impressioni si accavallano, il buono si confonde col giusto e il cattivo con lo sbagliato. Gli esempi si intrecciano, i miti si sfatano e si ricostruiscono, ogni giorno diventa una lunga guerra di posizione salvo poi scoppiare in un blitz improvviso ed ecco la guerra lampo, le invasioni dei pensieri, le porte sbattute, i mignoli contro i comodini, le ciabatte roteanti lanciate dalle madri con la perizia di ninja infallibili.
Mestoli di legno, per i più sfortunati.
Sta di fatto, dice il giullare, che di fatti certi non ce ne sono, ma al contempo si può, si deve, affermare che quello è il periodo della sperimentazione per eccellenza. E’ utile che sia così, è formativo, anche se apparentemente ad ammucchiarsi gli uni sugli altri sono solo i vestiti sporchi nell’angolo buio della stanza. Che sopravvivano e anzi fioriscano certi ideali, certe immagini un po’ stereotipate e un po’ veritiere, è naturale. Eccoci di fronte al criminale di turno, immagine del boss della mala a sua volta figura … di un qualche personaggio da grande schermo. Il bullo si specchia nel Padrino, si appropria della sua maestosità e del suo grandeur, spesso saltando tutte le tappe intermedie. Ciò significa ignorando la profondità di un processo complesso, sfaccettato e mai banale, mai semplice, spesso tendente alla dissoluzione. Poi di chi lo si scoprirà solo in seguito, se della singola persona o degli elementi dell’ambiente circostante, dell’ambiente-mondo.
Ho descritto una minuscola parte di quello che significa essere adolescenti, il frammento di un frammento di un frammento. Un singolo exemplum di quanto sia aleatorio e fondamentale quel cammino che ci porta ad essere adulti. Giuro che adesso la smetto con il latinorum, non voglio passare per l’azzeccagarbugli ma un certo tipo di espressionismo richiede delle espressioni specifiche. Dura lex sed lex.



“Mi piace, non saprei dire perché, è così misterioso, così enigmatico, così oscuro” sta dicendo una donna di ventisei anni affiancata da un uomo che annuisce, sorride, forse un po’ si imbarazza ma non per il motivo più scontato.
“Che sballo, è una forza. Si comporta in maniera così audace, così diretta, così spregiudicata” ho letto nei commenti di una chat dal titolo “Gli amici del calcetto”. Età media trentatré anni, più della metà dei membri conviventi e con figli.
Sbigottisco, come altro potrei reagire? E tutto ciò non fa altro che permettere a mille altre domande di sorgere spontanee. Alla fine ciò che rimane è un mugugno indistinto, detto a mezza bocca, che più o meno assomiglia ad un “ma siete adulti, che andate dicendo?”
E’ finito il tempo delle illusioni infantili, le fondamenta del vostro Io dovrebbero essere bell’e formate! Capisco il continuare ad arricchirlo, è cosa buona e giusta, capisco subire la fascinazione di certi modelli ma. Ma. Cosa c’è di sbagliato in questo? C’è qualcosa di sbagliato in questo?
Sintomi del tempo, caratteristiche proprie di un’era, l’inconscio collettivo, la stessa genetica, la distinzione atavica tra vincitori e vinti, sommersi e salvati, apocalittici e integrati?
Suonano in maniera strana quelle frasi dette da persone che anagraficamente hanno superato una certa soglia. Suona anche in maniera bizzarra il legare la maturità ad un numero scritto su un pezzo di carta così come il connettere per forza l’etica all’azione, la moralità al pensiero. Giusto e bello, sbagliato e brutto.
Giusto e brutto, sbagliato e bello. In medio stat virtus.



Confusione.
Parola chiave per descrivere questa nostra civiltà liquida. Perdonami Baumann se rubo le tue espressioni, tanto sono sulla bocca di tutti, nemmeno i risultati delle partite di calcio sono più così chiacchierati.
Confusi sono i canoni, i valori, le linee guida, i grandi e piccoli movimenti (ammesso che ce ne siano), le sigle dei cartoni animati, le notizie in prima serata, gli scaffali dei negozi.
E’ impossibile affermare con certezza. Addio criterio dell’oggettività, adieu fiducia. Tutto scorre nelle nostre mani come sabbia. Le etichette critiche ci vogliono postmoderni anzi no ipermoderni anzi no ibridi, cyborg, intersoggettivi, aperti a qualsiasi cambiamento in qualsiasi momento.
Non puoi dire di avere ragione, così fai un torto alla dialettica.
Non puoi andare contro la mia opinione, così fai un torto al rispetto.
Non puoi dire questo e quello, sennò mi offendo.
Eppure, che bella parola che è “eppure”, soprattutto dopo una lista simile, qualcosa di concreto resiste. Dopo il giorno vien la notte e il gallo continua a cantare alle prime luci dell’alba. Timbriamo costosi abbonamenti in palestra sapendo che non ci andremo mai. Beviamo alcolici nonostante sappiamo quanto siano velenosi. Ci schifiamo della produzione per bambini, insultiamo Peppa Pig. Amiamo. Odiamo. Ringraziamo, mai abbastanza. Una farfalla in città ci sembra strana, che una schiera infinita di mendicanti faccia da tappeto nei pressi delle stazioni no.
Quando abbiamo dei problemi, il mondo continua a girare. Quando il mondo ha dei problemi, noi continuiamo a girare. Siamo bravi ad essere chiasmi.
Qualunque cosa può essere rovesciata. E’ una questione di retorica e costruzione del discorso.
Confusione e comunicazione.
“Il freddo è uno stato mentale” mi ripetevo quando alle sette del mattino uscivo per andare a scuola.
“Perché starnutisci?” mi riprendeva mia madre quando vedeva che mi ero raffreddato di nuovo.



Voglio tirare le somme, facciamo i conti alla fine della giornata.
Non vorrei che tutto ciò vi apparisse come l’ennesimo delirio, so di avere una scrittura apparentemente pazzoide, ma il mio intento è solo quello di trasmettervi delle sensazioni. In questo caso, ovviamente, a farla da padrona è stata la confusione.
Credo davvero che ce ne sia troppa in giro, viene spacciata in ogni dove come la cura per ogni male. Se dovessi parlare con i miei amici userei una finissima espressione dialettale: “Te pareva, l’hanno buttata ‘n caciara”. I giudizi sono dietro l’angolo anche quando si va a comprare un melone dal fruttivendolo. Tutto è un mix di comprensione e giudizio, di rispetto-misto-a-timore-misto-ad-appartenenza.
Non è e non sarà la nostra panacea. Ma da qui si può partire per ricostruire qualcosa di nuovo e si spera più duraturo e stabile. Non avere certezze è un atteggiamento pragmaticamente scettico che approvo in pieno, ma dopo ogni pars destruens deve intervenire una pars costruens. Sant’Agostì, dico bene?

P.S. O magari sono l’unico che la vede così e tanti cari saluti.
Photo by Beth MacDonald

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