Momenti: seconda intervista

Corro trafelato tra una fermata e l’altra dell’autobus. La pubblicità provocante del cartellone non riesce a distrarmi, sono tutto d’un pezzo, ci vorrebbe ben altro. E’ un inseguimento alla Fast and Furious, per qualche motivo le macchine per strada si posizionano nell’esatto modo per far sorgere un ingorgo e io quasi sono costretto a saltare sui tettucci per passare oltre. In barba alla segnaletica, in barba alle mosse austere del vigile urbano, in barba alle strisce pedonali trascurate dai tempi della crisi dei gessetti bianchi. Sta svoltando, devo raggiungerlo, ma è proprio in quell’istante che vedo spuntare da una stradina laterale …

Aureliano Tempera (d’ora in poi AT): Si sente bene? Cosa va blaterando?
Gianmarco Papi (d’ora in poi GP): Sa, il lavoro dello scrittore. Non possiamo fermarci un attimo. Se la mente si cheta di noi non rimane che un vestito di tweed, una pipa e una rete da pesca attaccata sul portico di una casetta di campagna, in disuso, ma carina. Confortevole, ma che necessita di tante attenzioni per essere abitata.
AT: Le risponderò in ordine così da non far sorgere equivoci. “Il lavoro dello scrittore”? Sono un giornalista. “Si cheta”? Mi faccia il piacere di mangiare come parla, pardon, di parlare come mangia. Lei è in tuta, altro che tweed, e se vedesse anche solo da lontano una pipa le verrebbe un attacco d’asma. La casetta in campagna? L’unità d’Italia non l’abbiamo fatta per gente come voi.
GP: Non l’abbiamo fatta?
AT: Possiamo iniziare?
GP: Certamente, non vedo l’ora.
[N.d.I. Mantenere la calma nel mio mestiere è importante, per questo porto sempre con me una pallina di gomma antistress]

AT: Cosa ne pensa dell’accoglienza che il mondo della stampa ha tributato al suo nuovo volume?
GP: Dice a parte avermi mandato il miglior intervistatore del miglior giornale nazionale? [N.d.I. l’autore mi ha dato di gomito, ho l’impressione che sia idiota]. Chiederei che si facessero meno articoli su di esso, in tutta franchezza. Questo bombardamento mediatico non credo possa giovare al libro, magari potrebbe aiutare il sottoscritto ad acquisire notorietà, ma non è per questo che si decide di pubblicare, o mi sbaglio?

Perché è calato questo imbarazzo in studio?
AT: Colpo di tosse.
GP: Ha appena detto “colpo di tosse?”
AT: [N.d.I. ho tossito, per alleggerire la tensione]. Qualche parere l’ha colpita? C’è stata un’opinione in grado di farle capire che qualcuno aveva penetrato la sua poetica, la sua intenzione?
GP: Ogni parere mi colpisce, è il ruolo del feedback. Senza risposta non penso possa esistere un miglioramento di qualche tipo, per farle un esempio pratico, come dovrei capire cosa modificare, su cosa lavorare di più, se le recensioni sono tutte positive ed infiocchettate? Purtuttavia, ci sono modi e modi di comunicare il consenso come la rabbia e il disprezzo più neri. Credo che tra un insulto generico e un “bravo”, o peggio un “bello”, ci sia poca differenza. L’argomentazione è il cuore del confronto. Confronto che manca se gli spunti sono deboli e infruttuosi.
AT: Ha un’opinione singolare della stampa specializzata.
GP: Le riporto le mie esperienza, nulla di più. Le caratteristiche da copertina vendono di più della profondità ermeneutica. E a ragione, oserei dire. Ma non si può ridurre il dibattito ad un semplice appiattimento sulla funzione economica del mercato editoriale. Il libro è ormai diventato un prodotto, una merce. In quanto tale va sponsorizzato. Si cerca in esso, ma più propriamente in chi c’è dietro, la caratura del Personaggio. La giusta qualità per sopperire alla mancanza di tematiche che non parlano alla pancia e che, ciononostante, molti ancora preferirebbero alle becere, pardon, curiose insistenze gossippare. Sono un ammasso di carne e nervi dietro ad un soprammobile di cellulosa e inchiostro. Che si dia spazio al soprammobile, è molto più interessante di me.

AT: Come definirebbe il suo libro? E’ una raccolta di racconti ambientata in un luogo inventato dalla sua fantasia, ma quali modelli ci sono dietro, quale struttura, quale cornice?
GP: Come ha ben sottolineato lei è una raccolta di racconti. Forse un genere non molto in voga, avrei dovuto scrivere un thriller, un giallo o un memoir per catturare di più l’attenzione dei lettori, ma ho poche esperienze alle spalle che valgano la pena di essere imbrattate di sangue e mistero oppure caricate di un senso mistico ed esistenziale. L’idea iniziale, quella che ha accompagnato tutta la prima stesura, mi è stata gentilmente trasmessa da alcune atmosfere, in particolare quella giapponese e quelle della letteratura italiana e inglese. Non ho, nei limiti del possibile, preso concretamente spunto da altri lavori e autori, ma ne ho saccheggiato il clima, la temperatura, il tempo, le soffuse propensioni dell’essere. Volevo scrivere delle “fiabe per adulti”, credo sia un’espressione di Angela Carter, ma potrei sbagliarmi. In ognuna avrei voluto che fosse evidente la dimensione realistica a contatto con quella magica. La seconda è diluita nella prima, come un soluto che sembra essersi completamente sciolto in un solvente e invece rimane nel fondo, in parte, a causa dell’indice di saturazione. Sono racconti esemplari, nel senso che raffigurano degli esempi significativi di un qualche fenomeno-impressione-sentimento, in contraddizione con il principio dell’eletto, quello secondo il quale il protagonista è in qualche modo sempre gettato a forza nel ciclone degli eventi. I miei protagonisti non sono eroi, non ci sono eroine, mostri e fantasmi. Solo persone, persone che davanti al baratro di un’intuizione devono a volte riposizionarsi nella vita. Oppure sono individui che devono capire cosa fare di questa realtà, che spesso sembra governabile e affidabile, e a volte appare in tutta la sua brutale potenza.
AT: Non le metterò le note a piè di pagina. Si prenderà la responsabilità di quello che ha detto.
GP: E’ l’unica osservazione che le viene in mente dopo la mia risposta?
AT: Direi che anche per oggi può bastare. Come al solito, è stato un piacere.
GP: Si è scordato il pongo. Là, sulla poltrona.
[N.d.I. Per la seconda volta la troupe ha dovuto fermarmi. La nostra ultima intervista avverrà probabilmente all’ospedale.]

… un pastore tedesco. Mi sono fermato per accarezzarlo e ho perso il mezzo. Chissà cosa comporterà questa scelta. Effetto farfalla, fammi ciò che desideri.

Photo by Sebastian Herrmann

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un’icona per effettuare l’accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s…

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: