Fretta, commistione e aspettative. Le parole chiave di oggi, se non dell’oggi, che tanto ci fanno compagnia durante le fredde serate invernali. Già, perché quando stiamo per iniziare una nuova serie tv, un film, un libro, un qualsiasi prodotto artistico inventato per essere fruito, siamo costretti in qualche misura ad aspettarci che in esso sia presente tutto. Un universo già confezionato, perfettamente autonomo e funzionante. Il che non sarebbe nemmeno malvagio, è un’aspettativa legittima che permette allo spettatore-lettore di giustificare la distanza che lo separa appunto da chi è dall’altra parte, da chi queste esperienze in qualche modo le produce. Beceramente è anche un modo per dire che, va bene, non avrò la macchina di lusso del produttore Tal dei Tali, i privilegi dell’Onorevole Insipido, la possibilità di avere tutto subito, istantaneamente, come per gioco, come in un gioco, di supereroi bambini che ancora si baloccano con l’idea di allontanare ogni tipo di problema con uno schiocco di dita.
E qui, come spesso accade, si delineano due tendenze, due percorsi, due salernoreggiocalabria impossibili da evitare o ignorare. Si guarda altrove, si fischietta, ma le si attraversa, in un modo o nell’altro.
Fruitore: Io voglio che questa serie sia piena di tutto ciò che amo e odio. Voglio piangere per delle scene drammatiche e sentimentali, ridere per delle battute azzeccate, argute ma anche capaci di strizzare l’occhio ad ogni tipo di spettatore, non voglio l’élite che per carità, non voglio solo pernacchie e rutti e sviolinate da erocommedia delle ventitré e quarantasette. Voglio volare con la fantasia e vivere, veder rispecchiate, le situazioni che mi ritrovo a vivere giorno dopo giorno. Voglio la lontananza, l’esotico e poi il familiare, il conosciuto. Voglio un limite impossibile da attraversare. Voglio l’artificio di trama che questo limite lo distrugga, lo faccia impallidire. Voglio che tutto abbia un senso, voglio uno schema dietro gli eventi che sia coerente, raffrontabile con la realtà, ma non troppo, che sennò tanto valeva fare una passeggiata con il cane e mettersi a guardare l’umanità scorrere da una panchina di fronte ad un bar. Voglio la serietà, un po’ fa bene a me e a chi mi sta intorno, voglio qualche discorso ben orchestrato ma anche emozione, tanta emozione da farmi battere il cuore in maniera folle, pazza. Tu-dum! Sì, proprio come il suono che mi accoglie quando apro Netflix, quando sono pronto con una coperta e una tazza di tè caldo. Voglio impiegare i prossimi quaranta minuti così, le prossime due ore così, voglio che il binge watching abbia non solo valore, ma che mi arricchisca, mi migliori, mi comunichi, insomma, che non ho mica sprecato tempo! Non c’è, lo so per certo, un algoritmo che studia le mie preferenze e che si ciba della mia navigazione. Non sa come impiego il mio tempo, non sa quello che desidero. Questi dati non vengono raccolti, metabolizzati e schematizzati per creare un profilo, un profilo che verrà inserito nell’archivio umano dei profili già profilati che profilandosi … So che non è così.
Guardo la serie.
A-ha! Lo sapevo, non c’è alcuna indagine di mercato dietro.
Mi è così piaciuta, che spasso, che bellezza!
Adesso ne voglio ancora, dov’è la prossima stagione? Dov’è il prossimo contenuto?
Io ne ho bisogno, lo voglio adesso, che finale è mai stato? Che razza di cliffhanger?
Io pago un servizio ed esigo che adesso mi venga fornito un contenuto almeno di pari livello!
Produttore: Io voglio che questo prodotto vada in porto, voglio che venga visto, letto, apprezzato, commentato, che entri nel disordine dei social, che lavori dall’interno, che cambi-muti-modifichi-influenzi la realtà. Voglio far felici i fan, voglio dare loro quello che si meritano, quello che vogliono. E se entrambe le variabili non si sposassero bene? Una terza via, c’è sempre una terza via da sfruttare. Ho un canovaccio infallibile, ho l’inventario dei gusti e del costume, del bello e del brutto. Ho un target e nemmeno ho bisogno di usarlo. Ho delle scadenze, ma il prodotto non fa altro che riempire i miei buchi. L’impazienza del pubblico? Si cavalca. L’attesa? Si strumentalizza. L’interesse? Si forgia, nemmeno con tanto sudore, basta il click giusto al posto giusto, il meme adatto, lo scherzo ricorrente, la frase ad effetto, qualche milioncino ben speso per far parlare di sé (ricordo ancora quando ho firmato il contratto, centinaia di migliaia di euro dedicati alla produzione!) e magari uno scandalo o due, di quelli che si possono soffocare facilmente, stile struzzo nell’arena. Non ho solo una ricetta, ho l’intero libro. Il Necronomicon della cucina artistica. Gli ingredienti si trovano sempre, gli strumenti anche. Ho un bel calderone, una massa di affamati da soddisfare, posso gettare tutto dentro. E’ dall’unione di elementi molto diversi che nasce l’originalità. Supererò i vecchi lavori mischiando, amalgamando, rispondendo ai vivi sospiri di chi attende la nuova bella novella. Un pizzico di questione sociale, una spruzzata di relazioni amorose per niente stereotipate (ops, mi si è rovesciato il contenitore) e approssimazione quanto basta. Che sia vivo e piaccia, il resto verrà da sé. Non importa saper fare tutto bene, sarò regista, scrittore, sceneggiatore, colorista, costumista, tecnico delle luci, scaffalista alla Crai, orsetto delle feste, ciò che conta è essere abbastanza. Avere un’idea di base, sfruttare quello che si ha, arrabattarsi. E’ la dura legge dell’arte, ci accontentiamo anche di fronte a qualcosa che non capiamo nel nome di un’altezza difficile da raggiungere.
Chiedo perdono per l’intrusione di questi due loschi figuri. Hanno sollevato troppe questioni, quanta fretta, quanta foga. Corre il pubblico che vuole sempre di più, ogni aspetto della vita va supermercatizzato, corrono i produttori che devono arrischiare sempre nuove strategie per riempire gli scaffali, per sfruttare il momento, per surfare sull’onda dell’entusiasmo sempre in procinto di infrangersi sulla battigia. Ma cosa ci dice questo fervore? Questa necessità di avere sempre qualcosa da fare per le mani, questo spasmodico nuovo istinto votato all’impiegare il tempo libero in maniera piena e gratificante, senza lasciare spazio al tempo di infilarsi nelle maglie della nostra vita? Perché tutto e subito? Perché unire tutto, mescolare le carte in tavola, dare l’idea che il gioco sia sempre pronto per ricominciare là dove, in realtà, è sempre lo stesso con un vestitino diverso (avrei detto skin se fossi stato giovine …)?
Ci sarà anche il diavolo nei dettagli, ma tornerei a guardarli attentamente, a cercarli, ad apprezzarne l’aspetto minuto, confezionato con cura e attenzione pena una mediocrità nevrotica da consumatori compulsivi.
Certe aspettative sono cresciute e si sono sformate. Sono state prese e rese ideali, astratte. Le si rincorrono, ci si spreme per raggiungerle, ma forse non sono più qui, tanto che desiderare anche qualcosa di scontato sembra essere un nuovo atto di fede.
P.S. Anche perché non siamo solo “fruitori” e “produttori”.
Photo by Vitolda Klein