PoesiaDue – Leaf by leaf

“Vivere è il carnevale dell’essere”
Scriveva Alfred Jarry, insigne uomo di lettere e di scienza agli albori del secolo delle due guerre (non che ce ne siano state solo due e non che sia successo solo quello, ma si dice per capirsi a vicenda). Questa frase, che in realtà è un estratto, mi ha colpito appena l’ho letta per vari motivi. E qui, sventura a me, vorrei trattarla come fosse il verso unico e inimitabile di una poesia. Prendiamo la sua icasticità: è capace di evocare un intero universo attraverso poche parole ben dosate. E che dire del miracolo della condensazione? E’ come se ogni singola parola si caricasse di un senso tanto in fieri da necessitare, ad un certo punto, che la punta di un ago ne sgonfi l’enorme silhouette. E’ troppo da accettare tutto insieme, più ci si ragiona, più sembra inaccettabile che sprigioni una forza tale da scuotere e separare la terra. Eccoci mano nella mano di fronte ad un burrone, è un baratro ontologico quello che prospetta. Tutto raggrumato, incasellato, intagliato in pochi sbuffi d’inchiostro.

Vivere.
Come dar conto della sproporzione divina che manifesta questa parola? Come darle, detto in termini spicci, la giusta dignità? Abbiamo bisogno di fare una cernita, di inventariare i numerosi sensi che evoca. Consideriamone alcuni: “condurre un’esistenza”, “accumulare istanti”, “lasciarsi trascinare dal flusso costante sotteso alle cose”, “il tentativo di dare ordine all’informe, di comandare l’ingovernabile, di scrivere la Storia su di una pietra friabile”.
Vivere è.
In quanto stato immobile, cristallizzato. In quanto movimento, continuo divenire, panta rei. E’ perché è sempre stato e perché sarà, quindi passato e futuro. E’ perché nell’istante è così, presente allo stato puro, carpe diem Leuconoe. La sospensione lo rende leggero se il pensiero non sosta, immane e pesante se poco poco ci si affaccia. Vivere è. Senza complementi, aggiunti, informazioni ulteriori. Non c’è risposta e mai ce ne sarà. Il mistero della vita. L’elucubrazione che si specchia e diventa arrovellamento. Il trampolino del dubbio, la crisi della coscienza individuale. Misticismo o nichilismo. Annientamento o Nirvana. Il quid è nella congiunzione.
Vivere è il.
Tralasciamolo, non siamo dei pedanti accademici.
Vivere è il carnevale.
E’ un momento di festa o di farsa. Potrebbe rappresentare lo sforzo per dissimulare un male, per indorare una pillola o per farsi beffe dell’ordine costituito. La risata che ci seppellirà è per caso dietro l’angolo? Nossignore, è insita nello stesso respiro umano, nel suo timido afflato vitale. Se raffigurasse invece l’attesa procace del popolo, la sua pazienza di fronte allo status quo che lo opprime e ispira al contempo? Divertimento! Vivere è anche il momento dell’intrallazzo e del cha cha cha. E qui la domanda sorge spontanea, vivere per il divertimento? Resistere solo per afferrare il rovesciamento delle parti, la tristezza che diventa gioia, il dolore mutato in benessere, la povertà in ricchezza? Epifania o moment of being? Gettiamo le maschere e vivere ci sembra modellarci sulla spontaneità. Sulla naturalità. Vivere è seguire gli indizi dell’anima, dare corda all’istinto e spago alla ragione. Dietrofront. Le maschere si indossano ed è subito spettacolo, sipario, applausi e ringraziamenti. Tra le finzioni sociali si danza, la casa è solo l’anticamera di un cabaret o di un burlesque. Siamo sempre sull’orlo della fine, sull’orlo della genesi. Stiamo ridendo come il folle che assapora l’apocalisse oppure ci stiamo rilassando nel clima ludico di una fiera colorata?
Vivere è il carnevale dell’essere.
Caro Autore, adesso come dovremmo noi interpretare la totalità del “verso” dopo averlo scomposto così a lungo? Questa è stata una palestra, un sollevamento pesi cerebrale. Eppure, giunti a questo punto cosa rimane nelle nostre mani? Niente! (cioè tutto). Ci vorresti far credere che la nostra intera esistenza (e quindi questo esercizio tout court) non sono che un modo per depistare l’Essere che in noi muore quando viviamo? Non siamo altro che il simulacro, la proiezione, di una goccia che vorrebbe tornare nello stagno? Essere, essere. Vivere non è essere, se fossimo vivendo non saremmo. Ma caro Autore, questo non è che uno scioglilingua! Nevvero? Ah no? Dici che ognuno può leggerlo a modo proprio? Che in questo consiste la bellezza di una poesia, ma che dico, di un verso, ma che blatero, di una singola parola?
Non ci credo! Mi ribello!
Sono solo sbuffi d’inchiostro questi e tu sei pazzo, pazzo!

Ognuno sta solo sul cuore della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.


Non ti sento, non ti sento, non mi convinci.

Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie.


Cos’è questa prolissità?

Infuria, infuria, contro il morire della luce.

Un ringraziamento speciale ai miei amici Salvatore detto Quasimodo, Ungaretti il marinaio e Thomas lo straniero.

Photo by Chris Lawton

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