La mania dello storytelling ha pervaso molti aspetti della nostra vita. Ne è una prova l’irrazionale spinta che ci porta sempre a cercare una prima persona singolare dietro tutti i verbi che sentiamo e leggiamo. Perché quando ciò accade ci tranquillizziamo e allo stesso tempo ci entusiasmiamo, entriamo più facilmente all’interno di quella breve parentesi narrativa come pesci nella rete.
Le narrazioni stanno trionfando rispetto a tutte le altre forme comunicative. A volte è maledettamente difficile giostrarsi all’interno di tutte queste storia che un po’ sono menzogne e un po’ sono aspirazioni, che a tratti si vestono da realtà obiettive, mentre altre volte indossano gli abiti della farsa e del soggettivismo più sfrenato. Ogni evento diventa quindi degno di essere raccontato, anzi, no, necessita, ha bisogno di essere comunicato. E il disagio e la gioia, la tristezza e l’orgoglio, il tradimento e la fiducia. Tutto prende forma nell’esternazione dell’impressione, quasi come si avesse paura che vivere non sia abbastanza, che c’è bisogno del racconto, già, proprio del racconto della propria vita per essere sicuri che qualcosa sia successo davvero. Se tutti lo fanno, perché io no? La mia quotidianità è per caso inferiore? Non credo proprio. La mia storia è come quella di tutti, proprio come quella di tutti.
– Riprendiamo da dove ci siamo interrotti la scorsa volta? –
– Avevamo lasciato un discorso in sospeso? –
– Non se lo ricorda? –
– Mi dispiace, è passata un’intera settimana, non ricordo. –
– Bene, questo è significativo. –
– Come, è significativo? In che senso? –
– E’ significativo che lei non lo ricordi, precipuamente questo è importante da notare. –
– Mi scusi, non la seguo, cos’è che sarebbe significativo? –
– Certamente, capisco. Cambiamo argomento allora. Com’è andata la sua giornata? Ha delle particolari impressioni da condividere? –
…
– Forse non le definirei particolari. Delle impressioni, sì. Mi sono alzato presto. Ho avuto modo di prepararmi una colazione sostanziosa, sa, fette biscottate, burro, marmellata, un cornetto di quelli pieni zeppi di zucchero, quelli con il logo del daino, poi una spremuta d’arancia e un caffè nero, rigorosamente nero. A pensarci bene, dopo essermi alzato dal letto mi sono accorto di non avere un calzino al piede. Uno c’era e l’altro no. Ha presente? Pensavo fosse finito in mezzo alle coperte, ma non l’ho trovato. Allora ho disfatto il letto, ho levato il coprimaterasso, sono quasi arrivato a rivoltare lo stesso materasso pur di cercarlo. Per terra? Niente. Nella ciabatta, tante volte mi fossi alzato nella notte e lì fosse rimasto incastrato? Niente. Alla fine ho cercato dentro la gamba del pantalone, mi sono detto fosse mai che … –
– Capisco, certo. –
– Cosa? –
– Mi parlava della colazione, dell’abbondanza, del nero, del caffè nero. E poi? –
– E poi … non so se conosce l’esatto procedimento per fare il caffè con la moka, è molto interessante. Innanzitutto l’acqua andrebbe filtrata e il caffè, inutile dirlo, dovrebbe essere di ottima qualità. Un colore rossastro, bruno. Più scuro significa che è stato tostato eccessivamente mentre … comunque. L’acqua non deve essere fredda e nemmeno troppo calda. Il coperchio deve rimanere aperto e la fiamma … –
– Quindi lei medita? –
– In che senso? –
– Lei medita, ha un atteggiamento prevalentemente contemplativo. Coglie l’opportunità di svuotarsi la mente impiegando il suo tempo in piccole azioni quotidiane. E’ capace di allontanare il grigio caos urbano semplicemente concentrandosi sulla realtà minuta, sulle piccole verità, sulle sue capacità e i suoi interessi … –
– Ma dottore io abito in campagna. –
– … e questo, se lo faccia dire, è proprio il profilo di una persona contemplativa, oserei dire spirituale. Lei non si ferma alle apparenze, o mi sbaglio? Il discorso sul freddo e sul caldo. Già, in medietas stat virtus! Come risuonano potenti queste massime antiche nel suo resoconto! Ma la prego, continui, non volevo interromperla. –
– No è che. Così, insomma, mi mette in difficoltà. Troppo gentile, non credo di essere una persona spirituale. Dopo il caffè, rigorosamente nero, forse glielo avevo già detto, ho acceso la televisione per sentire qualcosa durante le pulizie mattutine. Una spazzata di qua, una di là. La barba, le orecchie, qualche ciuffo ribelle. Per stare in compagnia. Devo dirle che aiuta, è bello immaginare che ci sia qualcuno che non c’è. Lì, nell’altra stanza, qualcuno parla, altri rispondono, non sei solo, non è vero? Quindi poi ho deciso di prepararmi il pranzo. Niente mensa, non stavolta. Volevo lasciare i miei colleghi di stucco. E proprio mentre mi apprestavo a tagliare le cipolle per il soffritto in quella maniera eccezionale e rivoluzionaria che avevo visto su Youtube il telefono ha iniziato a squillare, è caduto, è andato a finire sotto al tavolo, lì dove non c’erano tappeti né moquette, proprio lì, dove era bagnato, lì dove un residuo di buccia di cipolla era finito, lì proprio, sulla macchia del motivo a quadri del pavimento che … –
– In questo consiste la sua debolezza, è ovvio. In questa fissazione che ha per i dettagli. Denota una personalità razionale, analitica, a tratti spregiudicata se lo lasci dire. Mi parla di un individuo conscio delle storture del mondo. Una persona che saprebbe mettersi in gioco per cambiare la propria vita da un momento all’altro. Un intraprendente. E questa sua capacità di elaborare più piani contemporaneamente, di sviluppare nella fatica una sensibilità esistenziale. Certo, sta facendo passi da gigante. –
– Mi scusi dottore, ma non sono ancora arrivato alla parte importante. Sa, i problemi sono sorti dopo. Aveva già iniziato a scrivere? Mi dispiace, mi scusi, non volevo disturbarla con queste piccolezze ma … –
– Tutto quello che mi dice è una fonte preziosa. Cerco di cogliere i messaggi inconsci che non sarebbe in grado di trasmettermi con la sola volontà … –
– Ma quella parte era inutile, glielo assicuro. Adesso le voglio parlare del problema, del mio problema. –
– Inutile? Lasci fare a me il dottore, le assicuro che tutto è utile. E se non voleva che scrivessi perché ha raccontato? –
– Mi dispiace, non volevo essere frainteso. Intendevo. Insomma. Mi scusi, mi fa sentire a disagio questa situazione. E’ sempre così quando qualcuno mi riprende. Infatti, quello che volevo dirle oggi è che … –
– E’ stato un piacere, come sempre. La prossima settimana alla stessa ora? –
– Come dice? –
– Bene, allora alla prossima. –
– Ma … –
– E’ sempre un piacere parlare con lei. Ne risultano degli scambi soddisfacenti. –
– Ma non le ho detto niente! –
– Non significa che non sia successo! –
E con una grassa risata professorale possiamo dire addio a questo paziente che non rivedremo mai più.
Sembrano rispondere e stanno solo dando la loro versione dei fatti.
Mettiti comodo, il prezzo per essere stato ascoltato consiste nell’ascoltare adesso a tua volta. Senza confronto, senza sviluppo.
Resti esterrefatto
di fronte al muro
ch’ha preso pure lui
a discorrer dei mattoni.
Photo by Daniel Schludi