Affresco al fresco

Sarebbe forse necessario assumere lo sguardo disincantato di Lily Briscoe per parlare il più obiettivamente possibile del libro di cui, in un modo tutto particolare, è protagonista. Perché in Gita al faro di Virginia Woolf vengono scardinati con un acume e una sottigliezza senza pari le strutture e le regole interne della forma-romanzo, in particolar modo quello di stampo ottocentesco, con le sue descrizioni fantastiche (ed estenuanti) e il suo realismo tanto mimetico e spicciolo da apparir, alle volte, un poco superfluo.

Lily Briscoe ne è la protagonista. Già questo è in parte un errore. Protagonisti di questa opera sperimentale e intensa sono i villeggianti di una casa immersa nel verde, vicina al mare, sempre scrutata da un faro ora vicino, ora lontano, a seconda dell’ora del giorno, della nebbia, dell’umore dei personaggi stessi. La trama è tanto essenziale da sembrare uno scherzo, quasi una sfida provocatoria al lettore. Ci si potrebbe addirittura chiedere se una vera trama esista, data la sovrabbondanza di commenti, riflessioni e di momenti di rara illuminazione che colgono saltuariamente ora la pittrice, ora la signora Ramsey, ora qualsiasi altro ospite di questa magione d’altri tempi. 

Tentando un disperato esercizio di sintesi si potrebbe dir così: una numerosa famiglia inglese, i Ramsey, suole andare in villeggiatura in una casa di proprietà lontana dal trambusto londinese. I due coniugi hanno otto figli e numerosi ospiti tra cui un poeta sereno nel suo silenzio, austero e quasi indifferente alla compagnia, una pittrice poco più che trentenne, insicura e sicura al contempo delle sue impressioni, un botanico sensibile e dai modi quasi cavallereschi, due giovani innamorati vicini al fidanzamento e un estimatore sincero del lavoro filosofico del signor Ramsey, il nume tutelare sghembo di questo gruppo a prima vista così mal assortito. Vengono descritte non le vicende, bensì i pensieri, di questi personaggi, in un continuo accavallamento che li porterà a confondersi l’uno nell’altro attraverso un flusso di coscienza tanto pacato e accorto che quasi rifugge dal termine flusso così impetuoso di sua natura. Il romanzo non fa altro che crescere su se stesso, sommando ad uno scorcio quello successivo, svelando e mostrando sempre di più la personalità degli attori in scena. I crucci di uno danno l’avvio al ragionamento sui desideri dell’altro, un gesto, perché di gesti semplici è pieno il libro, trapassa il velo delle consuetudini e delle convenzioni portando alla luce un aspetto profondo del carattere dell’interlocutore di turno.

L’unità di tempo e spazio è rispettata in maniera singolare. Il libro è diviso in tre macro-sezioni ambientate sempre nella casa, con qualche rara incursione nel mondo esterno rappresentata dal paese e dal mare. Il tempo, invece, cambia profondamente da una sezione all’altra. Trascorrono molti anni dalla prima alla terza e ciò viene reso magistralmente nella seconda, la più corta di tutte, che ha il compito di dare appunto un’idea del “tempo che scorre”. Quello che più ha colpito la mia esperienza da lettore piuttosto accanito consiste però nella dilatazione del tempo interno nelle singole parti.
Ci vuole un’abilità sovrumana a rendere non solo interessante, ma anche profonda, riflessiva, garbatamente ironica e realistica, una trama senza punti di rottura come quella di Gita al faro. Trama condensata in poche ore del giorno, ore che sarebbero anche potute sparire e non avrebbero di fatto peggiorato la lettura e la comprensione del testo. Se la storia si fosse svolta in un’intera giornata, a più riprese, in un arco di tempo frastagliato e confuso, il risultato sarebbe stato pressoché identico. Eppure, ricordare di trovarsi in un fazzoletto cronologico, davvero un minuscolo fazzoletto, elargisce un senso di profonda unità, un sentimento quasi cosmico di identità continua. Come rimanere fissi a guardare l’orizzonte perdendo ogni tipo di cognizione. In tutto questo l’attenzione viene spostata come fosse la sfera di un giocoliere. La si vede posarsi ora sulla spalla di Lily Briscoe, ora sulla passeggiata nervosa, sull’andirivieni continuo del signor Ramsey e infine sulle cure materne offerte dalla signora Ramsey al suo figlio prediletto, il piccolo Giacomo. Il taglio della luce su una superficie diventa la scusa per una divagazione, una frase non detta l’appiglio per immaginare una conversazione mai avuta. In alcuni casi, straordinariamente, i personaggi sembrano parlare tra di loro senza aprir bocca, senza guardarsi, senza dimostrare in alcun modo di voler comunicare. Si comprendono perché uniti da questo filo invisibile e fragile, da questo manto gentile calato dall’alto, permeante tutte le cose, ma al contempo diffidano l’uno dell’altro, cambiano opinione su loro stessi e su cosa li circonda, perché basta la punta di uno spillo per far deflagrare questa atmosfera sospesa.
Ed è così che si riscoprono sconosciuti, che sono portati a chiedersi “perché sono qui, perché io e perché con loro?”

Non è necessario, fondamentale, arrivare al faro.
E’ importantissimo arrivare al faro.
Ma nulla di che.

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