PoesiaTre – Sotto il lume del primo sole

Bisognerebbe sempre girare con un taccuino in tasca per segnarsi le cose che ci colpiscono. Ne sono un fervente sostenitore. Da qualche anno, più o meno sette o otto, ho dato al mio telefono il compito di aiutarmi in questa impresa. Purtroppo non ha il fascino della scrittura sulla carta e nemmeno fa provare quel fastidio tutto piacevole che scorre nelle vene quando la pagina è tanto piccola che verrebbe da chiedersi chi diavolo abbia pensato fosse una buona idea immaginarla con quel formato. Armati di penne, matite e carboncini, ecco come si dovrebbe combattere la guerra della quotidianità.

Dov’è che si trova la poesia? Nelle cose. E basta? Nossignore.
Da cosa prende vita, cosa le dà forma? I moti dell’anima, l’esperienza, le emozioni più intense. E fin qua siamo ad un livello di analisi molto profondo, diciamo pure altezza pozzanghera. Reputo queste risposte un po’ troppo scolastiche, nonostante il fondo di verità che le caratterizza. E’ vero, una poesia non sentita, non urgente, non avrà mai l’impatto di un imperativo. Senza esperienza è difficile creare collegamenti significativi tra i termini e i loro referenti e senza un quid aggiuntivo dato dai supercazzoriani “moti dell’anima” pare impossibile infondere le parole di quell’energia linfatica e, sotto sotto, fatale di cui abbisognerebbero.
Queste considerazioni ci dicono qualcosa, ma non credo sia sufficiente. E che dire delle posizioni che ci innestano una fiducia spropositata nei nostri mezzi mediante l’utilizzo di semplici equazioni dal retrogusto di Analitica 1? Prendete il vostro ricettario – sembrano consigliare – e andate a pagina cinque, capitolo primo. Studiamo la formula del poeta. Sgargabelli, leggi ad alta voce. Poesia uguale prosa più metrica. Prosa più metrica uguale versi. Versi uguale poesia. Quale è l’unità di misura? Ma il tempo impiegato, il sudore ammuffito sulle gelose carte. La metrica come la ricaviamo, sempre tu, Sgargabelli? Tradizione per erudizione alla seconda. Non fantasia, nemmeno un’oncia? Certo professore, ma non rientra in questi fattori, semmai in quelli della prosa. Continua. La prosa è data dall’unione della sintassi, del lessico, della semantica, del gusto e dell’originalità creativa del singolo. Quest’ultimo è un fattore personale, ma tant’è, non c’è comune accordo sulla validità di questa formula empirica. E il mondo rappresentato dove lo mettiamo? Come, il mondo? Sì, Sgargabelli, abbiamo parlato della tecnica, della forma, qui manca il contenuto. Poesia uguale prosa più metrica più contenuto, ha ragione. E il contenuto da cosa lo deriviamo? Vita vissuta moltiplicata per vita percepita alla terza. E fuor di parentesi? Il risultato va sottratto per, va sottratto per il coefficiente di imitazione? Bravo, e poi? Il tutto diviso per due. Eccellente.

 Il rischio è sempre quello di banalizzare la questione. Il significante è più importante del significato, o viceversa? E il referente, che dire del referente? Smetterei di cercare una proporzione sempre valida, monolitica. Non abbiamo bisogno di guide per apprezzare la poesia. E laddove ne avessimo necessità, diciamocelo, ciò è un ostacolo non solo alla comprensione, ma anche al godimento che si dovrebbe ricavare dalla lettura. La critica si può scervellare quanto vuole per formulare casellari, per dare nomi sempre nuovi alle figure retoriche, per incardinare nuove leggi da scardinare mediante le onnipresenti “eccezioni”. Può farlo, deve farlo, se così le aggrada. Così come uno scrittore o una scrittrice possono scrivere dei versi solo per il gusto di farlo, senza considerare la comprensibilità della loro opera. Lasciamo giocare agli autori e ai critici questa partita senza tempo. Tanto sono come guardie e ladri, come cani e gatti, e in questo si inseguiranno vita natural durante.
Credo sinceramente che la Poesia, perdonatemi la maiuscola, si disinteressi altamente di tutto ciò. La poesia è in quanto contemplazione di un momento o di un qualcosa che si vuole vergare a lettere di fuoco sulla Terra. E’ una specie di meditazione attiva, una volontà che fonde la teoria con la pratica. E’ un’intenzione che di puro e cristallino ha davvero poco, nonostante luccichi e brilli come una gioia. E’, forse, la condensazione di tanti umori, di tante interferenze, di innumerevoli contraddizioni, ambiguità e potenzialità. E’ un atto di forza, un atto intenso, frutto di uno sconvolgimento, che sia quieto o violento, vissuto internamente. E’ il parto universale di un essere senziente, parto disinteressato, parto gratuito, parto in virtù d’essere qualsiasi cosa purché s’avvicini al nucleo di quella sensazione primaria, quasi istintuale, che gli ha dato corpo, che l’ha inseminata ab ovo. Per questo tende all’assoluto anche quando descrive il particolare, per questo, dal particolare, apre squarci verso l’assoluto.

Non è che la poesia
sia solo l’interruzione del periodo
che, andando a capo,
pare conquistare chissà quale
nuova intensità.

Non è che la poesia sia solo un endecasillabo ben calibrato, un’epanadiplosi magistrale, un’epifora decisa e rimarchevole, un’azione nel rispetto del Durante, del Petrarca, dell’Ariosto, del Chivipare da Quelpaese, l’impiego di termini desueti e arcaici.

Ma, soprattutto, non è un modo per chiudersi in una cerchia magica, non è un modo per dire “ah, son poeta”, ché quel piedistallo di ghiaccio che tanto cercate s’è bello e squagliato sotto il lume del primo sole, millenni e millenni fa.

Siamo poeti e siamo infami,
siamo bellissimi, siamo caduchi,
lo siamo tutti, senza distinzione.
 

Photo by Jr Korpa

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