A te coraggioso della capanna mondo

A te, bimbo grato, bimbo futuro.
Avrai il cielo in una stanza, senza stelle comprate a pochi centesimi in una rivendita di oggetti d’arredamento. Sarà proprio il cielo vero, in alta definizione, e le nuvole liquide come cristalli saranno, quasi, a portata di mano. Con qualche gridolino aizzerai la giostra che ti circonda la culla. Il carosello placherà le tue notti, sarà il tuo orsacchiotto in movimento. Per te, e solo per te, come in tutte le altre case, canterà una ninnananna, suonerà un motivetto, fischierà con i suoi polmoni infaticabili la colonna sonora dei tuoi primi anni. Tutto dimenticherai di queste dolci stravaganze, tutto porterai con te impresso da qualche parte nel tuo cervello in continua espansione. In una nicchia, quando meno te lo aspetti, troverai ora le parole cortesi e gentili fabbricate su misura, ora la prima perla di quella collana che andrai chiamando nostalgia.

A te, infante felice, infante solare.
Conoscerai il sapore del sale, senza il bisogno di pizzicarti la lingua. L’odore del mare, senza ruzzolare nell’acqua a causa dell’onda che sulla rena ti avrebbe scagliato. Il duro scontro con la ghiaia, il ginocchio aperto come un’arancia matura, il furto della biglia preferita. Rigirerai queste parole, le volterai. Dietro non ci sarà il loro opposto, né il loro contrario, solo un messaggio altrettanto incomprensibile. Il gesso bianco sull’asfalto, il fiore caduto dal petalo mancante, il colpo a salve di un cecchino nascosto. Sono cose di cui hai memoria, nonostante non le abbia mai provate. Sei ricco d’esperienze. D’esperienze non tue. Eppure, eppure.
Ciononostante quando ti diranno Tirana immaginerai costruzioni colorate di epoche diverse, al sopraggiungere di un Alt proverai sulla pelle, e non fin dentro le ossa, il terrore di fare un passo falso, di non essere all’altezza, di essere lì, sul picco della vita, pronto per la pallottola con inciso sopra il tuo nome. Il tuo nome, che è simile a quello del vicino, che ha qualcosa in comune con quello di tuo padre, che ha la stessa consistenza in bocca di un integratore alimentare.

A te, fanciullo coccolato, fanciullo prodigio.
Che hai il sogno della Luna, perché la Terra è ai tuoi piedi. Che hai le orme impresse nella camera ardente di un vulcano, nelle profondità basaltiche del mare e nel cuore più recondito delle foreste tropicali. Parlo a te che ti sei saziato di tutte le nostre prelibatezze, dei nostri regali fatti non con il cuore, ma con una nostra versione piccina tra le mani. A te che sei quello che saremmo voluti essere noi, a te che hai reso realtà il desiderio immortale degli adulti di continuarsi in un essere più giovane. Sei nostro figlio ma sei anche un’estensione. Sei un arto proteso al futuro, la scommessa di chi, cieco e volenteroso, ha puntato su un cavallo risultato vincente. Sei, quante cose, sei, quante proiezioni, sei, un numero indefinito di prova-e-ritenta. Intorno avrai l’abbraccio caldo di chi sa cosa vuol dire sentirne la mancanza, avrai tutto l’affetto raggranellabile nelle galassie e sulla superficie incandescente degli astri maturi.

A te coraggioso della capanna mondo.
Come si vive a cavallo tra realtà e fantasia? Com’è stare in equilibrio sulla linea più sottile che esista?
Io spero che una volta sazio di tutto rivendicherai. Mi auguro che quando inavvertitamente colliderai con un corpo diverso da te stesso, sarai in grado di provare la giusta collera di una creatura di vita pulsante. Benedico il tuo anelito innocente che ti porterà a scavare la polvere sotto ai tappeti. Che ti irretirà, sconvolgendoti, quando ce ne sarà bisogno. Non ti vorrei pensare in una gabbia di finissimo cristallo, tra balocchi e comodità. Ti vorrei sporco, col sorriso misto a terra e umore e olio di gomito. Capace di combattere la disillusione e anche il troppo candore di una vita preconfezionata. Ci saranno mazze in ogni dove, usale. Nasconderemo, forse, vie d’uscita per chi vorrà volare via dallo scontato, dal prestabilito, dal vicino-vicino di Marte diventato familiare. E se troverai sciocco tutto il nostro impegno sentiti libero di decostruire. Abbi pietà, questo lo chiedo per i grandi e non per me, abbi pietà nei confronti dell’eredità che ti farà penare. Capiscila, analizzala, sfruttala se devi. Perlomeno riconosci che nel nostro intento, almeno nel nostro intento, c’è stato qualcosa di buono. Non ci scuseremo mai per averti donato l’accesso alla memoria del mondo. Cibatene come solo un angelo può fare, da un punto di vista che ancora non ci appartiene.
Se prima di cominciare a rivoltarti, a contestare, sarai già satollo di ribellione, avremo fallito.
Quel che si può fare, adesso, è solo ricordarti una banalità: è importante rendere estraneo quello che si suppone di conoscere.
Non è un vaccino, solo un singolo e timido anticorpo.
Affrontando l’ignoto dentro ogni cosa, dentro ogni luogo-città-esperienza già raccontata, ti auguro di ritrovare il gusto per la scoperta.

Photo by Towfiqu Barbhuiya

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