Non si torna indietro dopo aver trovato la soluzione dell’enigma, della sciarada oppure del rebus. Come nell’espressione popolare “ecco svelato l’arcano”. Che sia la coperta di Linus, il velo di Maya o le tendine del baldacchino reale del sovrano d’Europa di turno, non ha importanza. Una volta presa coscienza di ciò che prima era nascosto, non si può più fare finta di niente. O meglio, è certamente possibile, ma non farebbe altro che aggiungere un altro strato illusorio tra noi e la realtà.
Facciamo che non ho visto quel bambino cacciar fuori dallo zaino una bomboletta per imbrattare il muro.
Facciamo che non ho mai assistito all’aggressione di una persona senza muovere un dito, circondato da individui incapaci di muovere un dito, tra esseri quindi traditi.
Facciamo che la Sacra Sindone non è apparsa ai miei occhi come un lenzuolo, sicuramente pregno di storia e di mistiche risonanze, ma pur sempre un lenzuolo.
Il gusto della scoperta è in grado di muovere le nostre molecole come pochi stimoli. Annusiamo l’aria, ci mettiamo nella tipica posizione del segugio e puntiamo la direzione del prossimo svelamento. Ed è così che, a dirla tutta, ci piacerebbe trascorrere le giornate, saltando come stambecchi da un punto d’interesse all’altro. Il tempo? Il residuo novecentesco di un concetto superato! Lo spazio? Una dimensione tutto sommato sopravvalutata, degna solo di essere sorvolata dai potentissimi mezzi di cui ci siamo dotati. Cosa può fermare il desiderio bramoso del cacciatore di taglie dall’aggiungere una nuova tacca alla sua pistola fumante o al suo bellissimo tatuaggio nero avviluppato tutt’intorno alla spalla? Il mondo è così grande, un posto fenomenale, ricco di occasioni ed esperienze, di oggetti da ammirare e possedere. E se il berretto di lino non ci soddisfacesse ci sarebbe sempre la sciarpa di cachemire da stringere bene attorno al collo, per sfidare l’inverno, intendiamoci, e coprire il vulnerabile collegamento della mente con il cuore e i gioielli. Cosa si nasconde sotto la carta per impacchettare i regali? Sotto i brandelli stracciati della carta da parati, dietro i passaggi segreti delle librerie e dentro le vite rettangolari pizzicate come i tamagotchi di inizio Duemila? L’aspra materialità di un oggetto. Di una massa con le sue formidabili sembianze, con le sue curve e i suoi angoli. Un oggetto che pare più un esserino sconsolato dagli occhioni grandi e teneri, lì lì per assicurare che no, può ancora essere utile, non deve essere gettato, ha un valore, un valore in quanto oggetto che esiste e può essere tenuto in mano e guardato e sistemato sulla credenza del salotto buono di casa. E via, via così, la corsa riprende, l’olezzo del sangue è nelle narici, fiondiamoci sui prossimi atomi da strapazzo. E intanto l’Oggetto dimenticato va a far compagnia a quelli che son venuti prima di lui, si guarda intorno spaesato per pochi istanti, e alla fine non può che esclamare:
– Un senso ce l’ho anche io. –
Facciamo che quella ragazza non ha appena chiamato l’amante dopo aver rassicurato il fidanzato circa la sua fedeltà.
Facciamo che credo alle parole di questo gentiluomo intonacato che mi dice di aver fatto solo del bene. Vive per gli ultimi, per i più sfortunati. Ha sempre in dispensa delle frasi di miele per coloro che soffrono e da lui cercano consiglio. Questo va discorrendo sulla scalinata altissima di una cattedrale meravigliosa.
– Non è tetra, anche se è vuota. – Conclude con un sorriso.
Facciamo che il ragazzo che ha difeso sua madre dallo slancio violento di uno sconosciuto, e che ho visto entrare ammanettato dentro i confini di una prigione malandata, uscirà dalla struttura riformato, rinato, come l’araba fenice, e non abbrutito, sconsolato e disilluso come [inserire Nome di persona conosciuta].
Una volta portata alla luce la pochezza della soluzione un po’ si rimpiange la domanda. Il punto interrogativo è rassicurante, la sua forma accogliente, mentre cosa si può dire di quello esclamativo, diritto come uno stocco? Scoperto il trucco, finito il gioco. La magia del baro e del prestigiatore ha l’incredibile andamento di una montagna russa molto banale: si sale sale sale, per poi solo scendere. La fine della corsa lascia con l’amaro in bocca, o peggio, con la voglia di sostituire subito l’amaro con un ghiotto dolciume. E non è la disperazione a parlare, nemmeno una sofferenza profonda. È solo la voce schietta e malamente illuminata di chi vede il Re in mutande e non sa trattenersi dal gridare “E’ nudo, il Re è nudo!”
“Razza d’imbecille”, rispondono tutti i presenti all’unisono, “già lo sappiamo.”
Perché, alla fine della fiera, le storture della vita vengono colte da chiunque. Non c’è essere tanto ingenuo da credere seriamente alle parole di un politico di mestiere o a quelle di un porchettaro al bordo dell’autostrada che ti assicura di essersi lavato le mani subito prima di comporre il panino che ti sta gentilmente scaraventando tra le mani. Nella ricerca di un senso superiore, Grande quanto le Cose Grandi, siamo ancora più logisticamente selettivi: ci ripetiamo come un mantra la favoletta del senso della vita, quasi non sapessimo che il senso non è che sia un albero da potare o un animale da guarire, bensì un artificio da costruire individualmente o, tuttalpiù, da prendere in prestito da qualcun altro.
Perché lamentarsi della sua conflagrazione suprema, del suo scoppio nel cielo come tanti fiori di luce? Che era un artificio già lo sapevamo, il fuoco ce l’ha messo la vita, il corso degli eventi.
Finito lo spettacolo, finita la bellezza?
Certo che no, mio piccolo Pinocchio, corri a prendere altra polvere da sparo che c’è un cielo da buttar giù a furia di cannonate!
Facciamo che non ho visto un tiranno morir placido nel suo letto.
Facciamo che non ho trovato il vuoto dopo aver letto un libro pieno di significato.
Facciamo che un dio non si è sacrificato a causa dell’infimo bacio di un uomo.
Sii giusto, prendi l’illusione che più ti piace, illusione che è realtà, ma non te ne crucciare.
Non te ne crucciare, della realtà che è illusione, se più ti piace l’illusione, sii giusto … con te stesso.
Tanto il Re è sempre stato nudo e di questo continuerà a vestirsi.
Photo by Pro Church Media (sigh)