Mors mea, casa tua

Alberto, quarantasette anni, si siede sulla sedia del soggiorno. Il soggiorno buono, come si usava dire un tempo. Accende la televisione e le notizie del giorno scorrono. Le immagini sono quelle di un corteo, forse di una manifestazione, magari anche di una mobilitazione. Sono termini confusi, che tanto si sentono in giro senza che nessuno faccia un minimo di chiarezza.
Ma tant’è, come quasi tutto, non è importante.

Scorrono in basso, in una striscia nemica degli ipovedenti, stralci di eventi, perlopiù titoli sensazionalistici, icastici e disturbanti. Alberto, sorseggiando il suo caffè fumante, nero mi raccomando, nero e amaro, amarissimo, pensa che sì, è proprio giusto che le donne non abbiano il diritto di decidere cosa farne del proprio corpo.
Alberto, sposato da ventisette anni con la stessa donna, mai un tradimento, che lui sappia o ricordi, niente figli e un mutuo estinto da esattamente quattro giorni, ventitré ore e diciassette minuti.
Oppure è un Alberto che non si è mai sposato, che ha consumato una vita di rapporti fugaci e rapidi, senza coinvolgimento. Un Alberto quindi, passatemi il termine, epicureo, di quelli che i piaceri fondamentali li acchiappano come i giornalisti i fondoschiena di conduttrici e vallette.
E se fosse un Alberto che ancora vive con la madre ottantenne alla ennesima, circondato di pizzini, centrini, gattini, tutti diminutivi sia chiaro, lavorini a nero, relazioncine con la commessina del supermercato a trecento metri di distanza da casa … se fosse un Alberto così, o qualunque altro Alberto sulla faccia della Terra, c’è solo una cosa da dire, starebbe sbagliando.

Mi piace il suono di queste parole. Starebbe sbagliando. Contro ogni topos della modestia e ogni tipo di captatio benevolentiae, ci tengo a dire che se si possiede un’idea è inutile mistificarla dietro le pareti di compensato del “ma è solo la mia opinione”, “può non valere per tutti” e “di sicuro sono vere entrambe le cose”. La domanda affiora spontanea alle labbra, da quando abbiamo iniziato ad inquinare la discussione di precisazioni tanto pavide e scontate? Tutto ciò è lapalissiano, a meno di conoscere persone che soffrono del delirio di onnipotenza, benintesi. Categoria che rispetto e supporto, sia mai che mi ritrovi qualche agguerrito esponente di questo nutrito gruppo alle fermate della metro.
E’ antipatico, lo so bene. Cosa? Dire a qualcuno che sta sbagliando. Ne convengo, non lo apprezzo quando mi succede, ma reputo sia necessario. Uscire dalla propria gabbia di cristallo può far comodo, sapete? La questione esiste da prima che qualche anglofono coniasse quel celebre termine che è comfort zone.
Alberto, stai sbagliando, ripetetelo con me, “stai sbagliando”.
Prima di argomentare perché sia una posizione retrograda e bigotta, precisiamo qualche punto dirimente ai fini della nostra amabile chiacchierata. Cosa spinge un essere umano, benché possa essere triste, depresso, frustrato, si senta tradito, minacciato, puntato, a desiderare che un’altra persona, lontana dalla vista (e quindi dal cuore), abbia meno diritti, meno possibilità di scegliere, meno controllo della propria personalissima vita? Alberto, caro mio, se una donna decide di abortire, saranno anche [espressione da completare tramite l’utilizzo di formule simpatiche e giocose]. E non vorrei passasse il messaggio, da retorica spicciola, che la sofferenza sia una buona scusa, un pretesto, per giustificare alcunché. Il diritto deve essere garantito senza considerazioni che tirino in ballo la poverina molestata, la famiglia disagiata, le mancanze affettive, le complicazioni psicologiche. Il diritto deve sussistere anche laddove le motivazioni intrinseche non suonino roboanti, senza le amatissime tragedie stile cronaca nera o giudiziaria. Una donna non se la sente di tenere il bambino, non si considera pronta? Non ha assolutamente meno diritto di altre di operare questa scelta. Sono un assassino, ho una mentalità omicida? I limiti li deve stabilire una commissione di medici specializzati, preferibilmente imparziale, e a quei limiti ci si potrà anche adattare. Ma dubito che io e il signor Alberto siamo in grado di esprimerci su questo con una certa perizia, non è vero Alberto? Bravo, così si fa.
Così mi piaci, quando non ti impelaghi nella distruzione di gruppi sociali che odi così, tanto per, pregiudizialmente. Che poi, dai amico, una pacca sulla spalla te la posso pure dare, tu non passerai mai un’esperienza simile e vederti pontificare come un Lepido mi fa sinceramente sorridere.
Come dici? Gli omosessuali?
Carissimo, ormai c’è un nome ben più rappresentativo per quel movimento. E’ vero, potresti diventarlo, ma la cosa ti spaventa, ti manda in giuggiole le farfalline nello stomaco? Se sei sicuro della tua solida e inflessibile mascolinità non dovresti nemmeno prendere in considerazione l’idea. Che poi, a te, seduto sulla sedia del soggiorno buono, se due uomini, due donne, un uomo e una cassapanca, un termosifone e una scatola di preservativi si baciassero, cosa te ne dovrebbe importare? Quale piccolo neurone ti scatta nella scatola cranica quando due persone, oddio dello stesso sesso!, si tengono per mano in pubblico?
Ti dà fastidio anche solo immaginare una simile situazione?
Amico carissimo, compagno di mille battaglie, He-Man degli straccioni, siamo così sensibili, sensibilini, da farci mettere in scacco dall’immagine di due uomini che si baciano alla francese? Che stomachino deboluccio che abbiamo, da veri maschioni alfa.
Eppure, già, eppure, quando si tratta di emettere prediche da presbiterio contro la morale dei tempi correnti, contro la depravazione e le decadute virtù, là sì che la tua voce si fa grancassa, ecco che nella gola ti sorgono tante canne, come fossi un organetto tascabile, rumoroso. E quel suono aggraziato ed elegante, che non tarderei a chiamare rutto, ben si confà alle tue paure, ai tuoi timori e alla tua sostanziale debolezza.
Alberto, my dear, il caffè si è raffreddato.
Bevilo finché non sarà diventato un blocco di ghiaccio, a meno che tu non voglia scrivere al Creatore qualche altra argutissima arringa o reprimenda da avvocato del diavolo.
In sostanza, se fossi una persona alla quale vorresti levare dei diritti con il deretano comodo comodo sulla sedia, ti direi mors mea, casa tua. Quanto conveniente.
Perché la versione romana è troppo scurrile.

Dovevo argomentare, pardon, ho sbagliato registro.
Vi assicuro che nessun Alberto è stato maltrattato durante la stesura di questo breve articoletto. Nomi, fatti e circostanze sono opera di fantasia, macabre humour.

Photo by Tingey Injury Law Firm

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