«È vergognoso.»
Così iniziò la conversazione, con uno strappo che sembrava già definitivo. Cosa era vergognoso? Cosa non lo era? Impossibile saperlo, quella era un’osservazione globale.
«È vergognoso che mangino ancora sulla testa dei lavoratori. Ma dico, hai visto da quanti anni sono bloccati i salari? Si usano ancora vecchi criteri stabiliti nel dopoguerra, gli straordinari pagati sono illusori, l’assistenzialismo ha le mani legate e a volte ci mette del suo per rendere il meccanismo ancora più farraginoso. Il capitale è libero di volare dove gli pare, mentre le singole persone sono costrette ad inseguirlo. Ma non hanno mica le ali!»
Aveva sul serio detto “farraginoso”. Meccanismo, sistema, salari, il mondo del lavoro. Era davvero bizzarro parlare di queste cose con lui. Ricordava le sue funamboliche avventure ai tempi delle superiori e i loro viaggi in camper, sempre spalla a spalla e pronti per cogliere il fiore maturo del divertimento. Era un continuo saltellare da una meta ad un’altra, tra incontri ravvicinati del terzo tipo e azioni che potevano fare solo perché molto lontani da casa. Una volta avevano alzato la saracinesca di un locale e si erano introdotti nella cucina per sgraffignare qualcosa da mettere sotto i denti. Non avevano lasciato nemmeno uno spicciolo, ciononostante non erano stati così senza cuore da far finta di niente. Avevano preso un paio di fazzoletti, quelli lucidi e lievemente ruvidi che pulivano quanto un soffio di vento, e sopra di essi avevano scarabocchiato delle scuse grossolane. “Avevamo fame, ci dispiace, non ricapiterà più, la prossima volta pagheremo con gli interessi”. Il contenuto doveva essere qualcosa di molto simile. Ovviamente non erano mai più capitati in quella città, figurarsi in quel locale. Era bello quando le conseguenze pesavano quanto un brutto voto dopo una verifica scritta oppure come l’estrazione di un molare dal dentista.
«È colpa di questo modello economico che ci ha resi consumatori. Non produciamo più nulla, mi segui? E non saremmo nemmeno in grado di farlo. Utilizziamo un’infinita gamma di strumenti che non sapremmo riprodurre, siamo cyborg a metà, o meglio, un giorno ci siamo svegliati con degli impianti cibernetici al posto degli arti e non abbiamo fatto nulla per scoprire cosa fosse successo. Zero manutenzione, il libretto delle istruzioni perso chissà in quale cassetto e nel mentre l’assuefazione e l’alienazione. La nostra pigrizia sta diventando l’oppio del tempo, l’accidia ci consuma, siamo tutti “io, io, io” e non pensiamo alla collettività. Prima era tutto troppo solido? Adesso invece è troppo liquido. Non c’è una cazzo di roccia alla quale aggrapparsi in questa corrente.»
Ricordava che a lui Marx non piacesse. Lo trovava troppo rigido e aforistico, come se la vita intera fosse solo quella macchina deterministica che lui aveva creduto di scoprire! Rideva con la bocca spalancata quando qualcuno cercava di convincerlo che tutto andasse contrattato e che solo attraverso un’unione capillare ci sarebbe stato modo di far sentire la propria voce. Chissà se ricordava quella fase della sua vita in cui diceva sorridendo e ammiccando “la religione sarebbe l’oppio dei popoli? Ma cari miei, lo sapete quale era l’opinione degli intellettuali sull’oppio al tempo? Contesto, ci vuole contesto!”
«L’identità non è altro che un modo per rifugiarsi in un cantuccio dopo la dissoluzione delle comunità. Quelle storiche, basate su tradizioni tramandate di generazione in generazione, non le pallide imitazioni d’adesso. Io, io, io. Voglio, voglio, voglio. Adesso, adesso, adesso.»
Ascoltarlo era piacevole, ma lo metteva anche in difficoltà. Condivideva alcuni dei messaggi che stava cercando di lanciare, eppure c’era qualcosa, forse nel suo sguardo, forse nella staticità del suo corpo, che gli faceva montare dentro un disagio senza nome e senza nazione. Era ancora battagliero come un tempo, anzi, di più. Al contrario però, non gli vedeva più quella fiamma che lo faceva ardere di puro interesse. Attirava ancora l’attenzione di chiunque, era sì carismatico e affascinante, sebbene a modo suo, eppure era evidente come qualcosa fosse andando logorandosi pian piano. Il suo fuoco, simile ad un incendio nel polmone del mondo, aveva smesso di investire tutto quello che lo circondava. Adesso, era più che altro un segnale, un focolare improvvisato sulla spiaggia per farsi notare dalle navi in lontananza. Un SOS, un’eterea sequenza di segnali di fumo.
Avrebbe voluto interrompere quel discorso. C’erano tante altre cose di cui parlare. Si sarebbero anche potuti aggiornare sugli ultimi avvenimenti della loro vita. Era da qualche mese che non si vedevano, né sentivano. Aveva finalmente cambiato residenza? Aveva questa pratica in ballo con il comune da più di un anno. Era riuscito a far cambiare idea al fratello su quella storia della discarica? Lo divertiva ancora giocare a calcio il venerdì sera con i colleghi del lavoro? Spiritualmente era ancora un inguaribile scettico romantico?
Voleva chiedergli questa ed altre cose. Ma non ne trovò il modo né l’occasione. Lui parlava e parlava. E diceva cose giuste, condivisibili. Alcune rasentavano il populismo, altre sembravano uscite da un manuale di sociologia. Doveva aver studiato molto, negli ultimi tempi. Ciononostante, il suo corpo era fermo, statico. Solo la sua mano gesticolava rimproveri lanciati al vuoto. Gesticolava, prendeva un’altra sigaretta e gesticolava ancora.
«Bisognerebbe fare qualcosa. Se quelli come noi, che trovano questa situazione inaccettabile, non si muovono, chi dovrebbe farlo? Se davvero ci sentiamo più intelligenti, se davvero crediamo di aver capito qualcosa di più, perché non ci mobilitiamo per dimostrarlo? Cos’è tutta questa paura dell’impegno e del potere?»
Lui gli avrebbe anche risposto che tanto intelligente non si sentiva, che forse anche la “loro” versione non era che il punto di vista di una parte della società. Gli avrebbe anche detto che concordava con le sue idee, sebbene non ne approvasse tutti i metodi, che era vero che in qualche modo si sentiva emarginato, sciocco e impotente. Eppure, non disse nulla. Gli fermò la mano gesticolante e la strinse con forza.
«Alla prossima allora, mi ha fatto molto piacere rivederti.»
«Già, anche a me.»
«Non rifacciamo passare tutto questo tempo.»
Entrambi sapevano, allontanandosi l’uno dall’altro, che avrebbero mantenuto questa promessa come avrebbero rispettato l’invito all’azione.
Per voi, un altro racconto caricato su questo blog per salvarlo dall’oblio.
Un saluto a Baumann, sempre sul pezzo.
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