In un gesto, in una parola

Se siamo nel 2022 è perché, ad un certo punto, per qualche motivo noto ai più, qualcuno ha deciso di incardinare la cronologia mondiale, per coloro che la rispettano e riconoscono, su un evento ben preciso.

Nell’Anno Zero, annus mirabilis in grado di terminare e riavviare la linea del tempo, sì, quella dei libri delle elementari, nacque un uomo, ma farei meglio a scrivere un Uomo, in grado di imprimere una scossa tanto potente all’ordine costituito da gettare i semi per quella che sarebbe diventata una delle religioni rivelate più praticate in tutto il globo. Mi piacerebbe mostrarmi a voi nei panni dell’anticonvenzionale, del ribelle che tutto nega e disconosce per partito preso, mi piacerebbe sul serio dire che sto parlando di chissà quale figura misconosciuta dalla storia, di chissà quale eroe insabbiato dalle autorità del tempo. Invece, mea culpa mea maxima culpa, è impossibile defenestrare Gesù dal suo momento di gloria, perlomeno uno dei tanti. Per noi del paese dello Stivale, è una figura mitologica al pari degli antichi dei greci e degli eroi delle grandi opere omeriche. Gesù è un Odisseo più buono, un Achille più sveglio, un Aiace … lasciamo perdere. È, a tutti gli effetti, un eroe, quello che più propriamente si indica con il termine sublime e terribile di martire. È, a detta di un bestseller senza tempo, il Figlio di Dio, il Messia, Il Nazareno (che sembra il titolo di una serie tv Netflix su un cartello colombiano) e, mai stanco di nuovi appellativi, con la morte è diventato addirittura Dio. Voglio svincolarmi da possibili dibattiti teologici, non sono qui per riproporre la scissione di Ario o chissà quale eresia, voglio solo gettare un microscopico fascio di luce sulla figura di un personaggio storico in grado di trasformare per sempre l’inconscio collettivo dell’umanità, in grado di permettere a noi esseri umani del ventunesimo secolo di riproporre la sua storia e l’esempio che se ne può trarre.
Mettiamo subito le mani avanti, non sono una persona religiosa. Il concetto stesso di religione mi fa storcere il naso, così come la notizia dell’invenzione di un nuovo social ancora più intuitivo e accattivante oppure di una nuova sostanza stupefacente che irrompe nel mercato. Eppure, ci tengo a sottolineare che ammiro e rispetto la fede. Per metterla in altri termini, l’istituzione non la riconosco, ma la passione del singolo, il suo salto nel buio di kierkegaardiana memoria, è quantomeno coraggioso e ammirevole.
Quindi, Gesù, ai miei occhi Uomo e basta, anzi “Figlio dell’Uomo”, secondo colui che ben presto citerò.

Concedetemi una citazione. È di una canzone che tocca delle corde nascoste da qualche parte nel mio cervellino bacato, che le stringe, le strizza e le riporta alla posizione iniziale, quasi volesse far intendere che non è successo niente.

Credevano a un altro diverso da te
non mi hanno fatto del male.
Credevano a un altro diverso da te
non mi hanno fatto del male.

(Il Testamento di Tito – Fabrizio De André)

Non voglio dilungarmi sul significato della canzone, ma vi consiglio vivamente di scoprirlo voi stessi. Questa citazione è utile però per introdurre un altro uomo, è pieno di uomini questo articoletto!, dall’ingegno fine e sottile come la punta di uno spillo: José Saramago.
Di Saramago ho letto tre volumi sempre consigliatimi da altre persone, una professoressa di liceo, una cara amica e uno zio. Quello che più di tutti mi ha colpito, sebbene abbia impiegato quasi un anno per fare breccia nelle mie difese, è Il Vangelo secondo Gesù Cristo. Se avete del tempo da dedicare alla lettura, a discapito di qualunque opinione abbiate del protagonista, leggetelo.
Quale è il punto di vista adottato da Saramago nell’opera? Quello esplicitamente dichiarato nel titolo. Ossia, narrare la vicenda di Gesù dagli occhi di Gesù stesso. Non dall’ottica mistica di un gruppo nutrito di fedeli idolatranti e, pardon, a volte acritici, bensì da quella corporea, realistica e contraddittoria del cosiddetto Figlio di Dio. Io voglio evitare qualsiasi tipo di spoiler (sembra la battuta di Boris 4 ma giuro che ha senso questa affermazione), ma non posso tacere alcuni aspetti dell’opera.
Innanzitutto, trovarsi di fronte all’uomo e non al divino lascia perplessi. I suoi gesti, le sue parole, vengono da una bocca umana, che non sa di avere un’origine celeste. Le azioni che compie per buona parte della storia sono dettate non dalla consapevolezza di un fardello posato sulle sue spalle dal Creatore dell’universo, bensì dal ragionamento puramente logico e consequenziale di un bambino, poi adolescente e infine adulto, che scopre sé stesso nella Galilea di duemila anni fa. È, a voler allargare la nozione con delle pinze considerevoli, un romanzo di formazione. La testimonianza di come il granello di polvere è diventato la destra del Grande Orologiaio. La documentazione di una scelta soprattutto sofferta e, sotto la parvenza dell’incarico del predestinato, menzognera.
Gesù è costretto a fare i conti con le tragedie della vita, le stesse che fiaccano l’esistenza di chi gli sta attorno, sconosciuti e non. Sogna, signori miei, Gesù sogna. Gesù sbaglia, a volte a causa della sua profonda innocenza, altre per il suo orgoglio adolescente, altre ancora perché non è onnisciente, non è il Padre, è ancora, senza saperlo, solo Figlio. Gesù soffre per i sensi di colpa e non c’è angelo in grado di convincerlo della validità del suo destino, non c’è Pastore in grado di ricondurlo al suo gregge, non c’è Maria in grado di consolarlo. Ad essere precisi, una Maria in grado di farlo c’è eccome, ma non si tratta della madre.
Gesù conosce donna. Questa l’espressione usata da Saramago. Gesù sperimenta il rifiuto della famiglia e la validità della conoscenza attraverso il corpo.
Cosa non sono, poi, i dialoghi di questo libro. Tralasciamo il setting, luogo e tempo, per concentrarci su uno dei due motori del libro. Ogni volta che due o più personaggi si trovano ad interagire è assicurata la poesia. Ma non una poesia incomprensibile, sibillina ed ermetica, bensì una genuina e profetica poesia che nasce dalla gestualità e dalla limpida chiarezza delle frasi pronunciate. Ciò che le rende misteriose ed enigmatiche altro non è che il nostro sguardo a posteriori, di chi la sa lunga su come andranno le cose. È, ancora una volta, il mistero della Trinità ad ammantare le parole di una patina di incomprensibilità e incomunicabilità. Tutto può essere letto seguendo varie chiavi interpretative, ma al centro, nucleo di questo flusso che così descritto sembra inaffrontabile, c’è Gesù, vivo più che mai nella forza delle sue azioni e dei suoi dubbi cocenti. C’è l’uomo che con l’imposizione della mano convince una tempesta a placarsi e che con una parola asseconda venti e correnti. C’è l’uomo disposto a sacrificare sé stesso pur di salvare la grande moltitudine, ben cosciente di essere incapace di salvare la totalità. C’è, blasfemia a parte, una divinità umana che deve prima scoprirsi e trovarsi per diventare quello che la storia consacrerà.
E quando il Regno di Dio viene annunciato, lui è pronto per fare la sua parte. Ma a modo suo, muovendosi nelle maglie della dialettica. Inciampa in un cavillo tecnico, potremmo dire, spolvera un’arma sulla quale cade quasi per caso. Ed ecco che il Figlio dell’Uomo si annuncia al popolo, all’umanità tutta.
È convinto di aver trovato la quadratura del cerchio, è sicuro, determinato.
E tutto si conclude, in pieno stile umoristico, in una …

Può apparir strano, ma è tutto racchiuso in un gesto, in una parola.
Forse ciò è la fede, o forse no.
A voi la scelta.

Photo by Samuel Lopes

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