Quando ero piccolo c’era questo cartone animato che guardavo molto volentieri. Si chiamava Ricreazione in italiano, era prodotto dalla Disney (quando ancora non era in vena di sole battutine ammiccanti verso tutti i tipi di pubblico possibili) e parlava di questo gruppo di ragazzini delle elementari alle prese con le sfide della loro età. All’interno della banda i ruoli erano ben divisi e basta guardare una foto della sua formazione per rendersi conto che le recenti derive super-inclusive di Netflix e compagnia cantanti erano già presenti nell’immaginario comune, sebbene non alzassero i polveroni noiosi che appestano l’aria oggigiorno.
Di questa serie animata dall’impronta decisamente statunitense ricordo in particolare un episodio. Anzi, diciamo le cose come stanno, sebbene io abbia un ricordo eccellente del cartone saprei descrivere con una certa precisione questo unico episodio di cui sto per parlare. Non ricordo il titolo ovviamente (so che potrei andarlo a cercare con due click, ma tant’è) e al centro della scena c’era un bambino che non faceva parte della squadra dei protagonisti. Era un ragazzino qualsiasi, con qualche problema a relazionarsi magari, forse un po’ goffo, schivo e a tratti menefreghista. Fatto sta che questo personaggio aveva avuto il coraggio di dire una cosa senza precedenti, ossia che il capo della banda non gli stava simpatico.
Pronti alla detonazione? Il buon TJ, ragazzino sveglio e smargiasso, disinvolto, dal cappellino rosso calcato bene in testa (prevedibilmente al contrario, come un Ash Ketchum qualsiasi che decide di impegnarsi sul serio), la lingua lunga e i problemi con l’autorità si ritrova per la prima volta a subire un colpo basso da parte di un membro della sua comunità. Lui sa accettare e sopportare con fin troppa consumata esperienza l’indifferenza degli adulti, non ha paura di suscitarne le ire e nemmeno di schierarsi al fianco di un amico ben consapevole che sia nel torto. È quel tipo di persona, che tutti vorremmo vicina, sebbene per un tempo limitato. Simpatico, irriverente, insomma una calamita per le avventure e i guai. Ecco, immaginato un profilo simile, figuratevelo alle prese con un coetaneo tanto fuori dal mondo da essere così sciocco da dirgli in faccia la nuda verità: mi spiace, non è colpa tua, ma non mi stai simpatico. E allora TJ, da eccellente people pleaser ante litteram, si pone come obiettivo della giornata una singola meta: quella di ingraziarsi il ribelle del buonumore. E ci prova sul serio, eccome se ci prova. Lo coinvolge nelle attività del suo gruppo, gli fa dei complimenti e tenta di irretirlo con mosse da allibratore spudorato. Il risultato? Ovviamente nessuno, perché un tempo le trame degli episodi pensati per i bambini contenevano anche delle morali piuttosto decenti oltre a colori sgargianti e strani riferimenti alla dimensione erotico-sessuale.
TJ è costretto a fare i conti con il fallimento. Che insomma, trattandosi di un bambino di nove anni è una cosa forte, non credete? Fallimento e infanzia non dovrebbero trovarsi nella stessa dimensione, figurarsi nella stessa frase. Anche se, su questo, la realtà ci ricorda che gli eventi sono molto peggiori delle aspettative. Senza andar troppo fuori traccia accogliamo le conclusioni di quell’episodio vecchio più di venti anni. Un bambino abituato ad essere considerato un riferimento, cool e tutto il resto, si trova nella spiacevole condizione di dover accettare che non può piacere indiscriminatamente a tutti. E che, soprattutto, ciò esula in buona parte dall’impegno personale.
Gli esseri umani non sono delle slot machines. Non è che visto che hai tirato la leva per ben quattrocento novantanove volte succederà che la cinquecentesima il fato ti premierà a causa di un difetto di produzione anche detto truffa da due soldi. È sano, ottimista e sinonimo di una sviluppata capacità empatica cercare di mettere gli altri a proprio agio, magari aiutandoli in qualche faccenda oppure dando loro una chiave per interpretare la situazione con occhi diversi. Eppure, ciò non può essere imposto, a nessuno. La gentilezza, da che mondo è mondo, non può diventare la scusa per intromettersi nelle vite di chi ci vorrebbe all’esterno. Soprattutto quando, a dir la verità, il movente di tanta fatica non è la cordialità, bensì una velenosa e pettegola dose di carenza affettiva. Sentirsi costretti a donarsi completamente, senza discrimini, è tanto fallace quanto chiedere costantemente aiuto e vittimizzarsi. Del resto, vittima e salvatore costituiscono una coppia forte quanto, alla lunga ma non troppo, disfunzionale.
Tornando al buon TJ, possiamo concludere la sua vicenda così: ha dovuto scendere a patti con la consapevolezza che non tutto si può controllare in pieno stile ventriloquesco (non esiste questa parola). Che a nessuno si può imporre il proprio infaticabile attivismo da buon samaritano. Che sentire il bisogno di piacere è un’arma a doppio taglio, perché spinge sì ad essere più estroversi e socievoli, ma nella misura in cui si è in grado di porre dei limiti. Quali insegnamenti si possono trarre da questa storia? In primis di scendere dal piedistallo, che il mondo non attende che proprio tu lo risani da ogni male, e successivamente che non esiste nulla di buono-giusto-divertente a livello universale, men che meno noi esseri umani.
Di recente sento l’espressione “people pleaser” spessissimo. Per i più fortunati, ossia coloro che non sanno di che diamine io stia parlando, si può dire che un soggetto che ricade in questa categoria di persone (vai con il lessico spersonalizzante da psichiatra in erba!) è tale perché percepisce il bisogno patologico di accontentare gli altri. Non è, attenzione, un ruffiano. Né necessariamente una persona falsa, manipolatrice e brava come un cane a mostrar la lingua lunga al primo che passa. È un individuo che, per qualche motivo, deve piacere e sapere con certezza che è accettato da ogni tipo di gruppo. Che ciò avvenga perché ha paura di perdere qualcosa di preziosissimo qualora non si comportasse in maniera “adatta” oppure perché è convinto di dover rallegrare le sofferenze di chiunque (consapevole di quanto la vita sia già dura intrinsecamente, senza metterci pure la sgradevolezza involontaria di taluni) poco importa. Fatto sta che si considera avvinto in una rete creata dal mix invischiante di aspettative e necessità, rete tutta mentale e dalla quale è però complicato districarsi.
Forse il segreto è accettare il muro contro il quale TJ è andato a sbattere.
Diciamocelo, è malsano esaurirsi pur di non essere mai e poi mai rifiutati.
È addirittura più controproducente dell’isolamento stesso.
Photo by boh, direi Disney+ ?
Una replica a “A Ricreazione con un people pleaser”
Un cordial saludo. Buenos días desde el sur de España 🇪🇸
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