Il fondoschiena di Lucignolo è inciso nella pietra

Desidero essere immortale. Desidero, ho bisogno, che ciò che ho intorno non venga scalfito dal tempo, dalle intemperie e dall’obsolescenza programmata. Ho bisogno, ambisco, di sapere di poter fare affidamento sugli strumenti che mi sono sudato, che ho ottenuto sudando copiose gocce nei miei vestiti comprati all’outlet e infine nei negozi di marca. Ambisco, dispero, di mantenere intatto e immacolato il mio cappello della Rinascente, il mio vinile con i più grandi successi di Barry White dalla confezione intonsa e firmata dallo straordinario cantante e la padella comprata grazie alle televendite e sponsorizzata come indistruttibile. Dispero perché, in una stanza di ancora sole quattro pareti, tutto quel che vedo è a noleggio, in affitto, preso in prestito da qualcuno di più forte di me.

Oggi parleremo del signor Giulio, un onesto brav’uomo di circa quarant’anni o poco meno.
Giulio ha un accenno di pancetta, si dice di non avere il tempo di andare in palestra o di passeggiare tutti i giorni ma sa bene che in realtà la sua condizione è ancora abbastanza buona da permettergli di far colpo sull’altro sesso, i capelli neri che danno segno di un’incipiente stempiatura e un appartamento, senza infamia e senza lode, in una cittadina ben fornita del Belpaese. Ha una vita sociale modesta. Ogni tanto può permettersi di andare a mangiare al ristorante con qualche amico (tradotto alla lettera: qualche collega del lavoro), può comprarsi un abbonamento allo stadio, fare svariate comparsate al bar, sorbire stecche di sigarette a profusione e intrattenersi con ogni tipo di contenuto multimediale, dai videoclip delle canzoni agli ultimi e strepitosi documentari di National Geographic. Ovviamente, i primi abbondano e i secondi scarseggiano, ma così è la vita, la conoscenza è come la pasta integrale, un’alternativa più lenta da metabolizzare e forse nemmeno tanto più salutare dei cari vecchi zuccheri raffinati.
Giulio si è fatto da solo. È un indomito imprenditore di sé stesso. Partito dal nulla, magari da due genitori amorevoli emigrati da un paesino di montagna del Sud che contava massimo trecento anime, ha scoperto la sua via facendosi spazio in questo mondo competitivo di noialtri. Quando è approdato nella Città, come un Pinocchio nel Paese dei Balocchi, è stato sorpreso dalla schietta abbondanza dell’Occidente. Dalle vie colme di dolciumi in ogni vetrina, dalla fiumana umana di profumi, giacche, tailleur, miseria-e-nobiltà, caffè decaffeinato in tazzine di vetro riscaldate con latte di mandorla biologico e dai clacson, i semafori dotati di segnali acustici, i vicini che suonano la batteria alle tre di notte e le insegne delle attività che sembrano uscite da un corso universitario di pubblicità o sul corretto utilizzo di Photoshop.
Giulio, manco a dirlo, arraffa quel che può. All’inizio lo fa in maniera inconsapevole, è un uomo un po’ affamato e un po’ in preda alla gola che si aggira per un buffet sterminato. Dopodiché, l’abitudine lo coglie, lo ammalia e lo ghermisce in un abbraccio tanto caldo quanto irresistibile.
Al mattino, sveglia, cappuccino (esclusivamente per andare di corpo, che gli anta si avvicinano) scrollata di notizie sul water, mezzo cornetto confezionato e musica sparata nelle cuffiette.
In viaggio, Radiohead e Britney Spears, Vocaloid e Dream Theater, Bob Marley e, chissà per quale scherzo dell’algoritmo, Cocciante.
A lavoro, spillatrici, mail alle quali rispondere, mail da cestinare, spam da rifiutare e spam che non sarebbero spam ma che la società vuole siano spam, che non si dica che non siamo adulti puliti e beneducati.
Al rientro, frozen yogurt & bubble tea, foto strepitosa sul lungofiume e catch phrase tratta da Il Corvo, passeggiata attraverso il set di un corto per la televisione nazionale e bacio al rosario nei pressi dell’antica chiesa aperta al pubblico, ai flash delle macchine fotografiche e ai biglietti d’ingresso per tutelare l’economia della Santa Sede.
Di sera, Netflix und chill, due conversazioni portate avanti tra WhatsApp e Instagram, tra l’altro intrecciantesi tra loro e infine confluite in un gruppo Telegram, una rapida cena a base di Saikebon e poi dritti sotto le coperte, non prima di aver scelto il suono personalizzato per la sveglia mattutina.
Go on and repeat.
Un giorno il signor Giulio, solitamente un individuo equilibrato, di buon cuore e francamente simpatico, incappa nello spauracchio della giornata-no. Il cappuccino gli è indigesto, le notizie sono infestate di guerre, rincari e delle sconfitte dei suoi idoli del tennis. Esce di casa e una cuffietta bluetooth gli finisce in una pozzanghera, Chris Cornell canta Like a Stone a metà e subito dopo i Demon Hunter attaccano con I am a stone, quasi a simboleggiare una perculata celeste. A lavoro son finite le puntine, alle mail deve prestare effettivamente attenzione e nella casella che raccoglie la posta indesiderata trova un coupon per attivare un servizio che gli consenta di non ricevere più posta indesiderata. Allora torna a casa, con il termometro dell’intrattabilità ad alti livelli incastonato nel cervello, e il venerdì è giornata bubble tea al melone, e lui odia il melone, la foto gli evidenzia la pancetta di-cui-sopra, e il set è stato spostato in un’altra via. Ciò significa che non potrà più fare gli occhioni dolci alla segretaria d’edizione. A casa, infine, stremato und relieved, si prepara delle verdure in padella e posiziona la coperta esattamente sopra il divano. Ta-dum. Netflix è partito. Può finalmente tirare un sospiro di sollievo. Ma.
Bisogna rinnovare l’abbonamento. Che è salito di altri due dollari. Giulio paga in euro, non capisce il dollarese. E lo rinnova. Scrolla e trova la sua serie tv del momento, ventisette stagioni di avvincenti teen drama alle prese con la pubertà. Ma un attimo. La serie è divenuta a pagamento. Come, paga il servizio di streaming per poi pagare un suo contenuto? Allora prende la carta di credito, inserisce i dati e paga il benedetto doppio-servizio. Sono le nove di sera, già sente le palpebre pesanti. Finisce la decima stagione ma vorrebbe coricarsi dopo aver visto un altro episodio. Fa per cliccare, la piattaforma dà l’okay. Inizia il primo episodio della dodicesima stagione. Giulio, confuso, cerca di capire se ha sbagliato qualcosa. E invece no. L’undicesima stagione è esclusiva di Amazon. Per qualche motivo solo quella.
Giulio dice vaffanculo, pensa vaffanculo e si addormenta sognando nuvole di vaffanculo nel cielo.
Giulio, affabile signore di circa quarant’anni, è preso per le palle dai suoi innumerevoli Mangiafuoco.

Ho pagato per avere questo CD ora smagnetizzato. Ho pagato per avere questo cofanetto preda dei tarli. Ho pagato per questo set di coltelli di ceramica wannabe dal filo perenne. Ho pagato te, cameriere da strapazzo, per portarmi una semplice omelette, queste sono uova strapazzate, razza di imbecille. Ho pagato te, social media manager, per diventare qualcuno sul mio sito di ayurvedica e medicina omeopatica. Ho pagato e non voglio la pubblicità tra le tue canzoni, il supplemento per i podcast e le interviste e i tuoi Original e i tuoi In Evidenza.
Bip. Canzoncina di Vivaldi in sottofondo. Voce robotica da assistente ex-jugoslava.
– Il servizio che lei richiede è disponibile a soli trenta centesimi aggiuntivi sulla sua tariffa attuale. –

Instillato il desiderio d’aver tutto, è difficile fare i conti con la sua insoddisfazione.
Alcuni la chiamerebbero crisi d’astinenza, ma non noi, amabili e assolutamente non ipocriti timorati di Dio.
Noi la chiamiamo Desiderio di immortalità. Di avere tutto a disposizione, sempre e comunque. Di poter agitare un dollaro nell’aria e vedersi trattati da sovrani. Di rendersi conto che, alla fine, siamo come Lucignolo ma meno svegli e meno brillanti.

Gli avvocati di Tondelli mi vogliono male.
Photo by Denny Muller

Una replica a “Il fondoschiena di Lucignolo è inciso nella pietra”

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