Io, te, Internet e una Persona

Io, solitamente, quando devo inserire Internet, anche la sola parola, all’interno di un testo evito di usare questo nome proprio anglosassone optando per il termine rete. Sì, è vero, rete è un sostantivo che in italiano ha svariate accezioni, una semantica pregna e rievoca nell’immediato tante immagini diverse, eppure, credo calzi a pennello per descrivere questo sistema di comunicazione sovranazionale che ci siamo confezionati per azzerare, o quantomeno ridurre, le distanze fisiche. Non sono un detrattore di Internet, non odio i social network, i blog, le piattaforme come YouTube, i servizi informatici e le pubblicità invasive che catturano l’occhio per la loro, come dire, eloquenza perversa.

Non lo sono per il semplice motivo che trovo inutile accanirsi contro un mezzo che non ha una propria volontà. Capiamoci, se sviluppasse una coscienza e decidesse di schiavizzarci tutti, dal primo all’ultimo essere umano, propinandoci la calda zuppa dei nostri desideri concentrati e gli aromatici tortellini del comfort indottrinante, sarei il primo a ribellarmi. Invece, di fronte al nostro uso sconsiderato, probabilmente compreso il mio, di questo potentissimo strumento, non me la sento di scagliarmi come se mi trovassi innanzi al Sauron di turno. È facile, lineare da far paura, discutere degli effetti negativi che le varie piattaforme stanno avendo sulla nostra vita. Tanto che, a ragion veduta, si parla delle conseguenze che l’uso massiccio di Internet sta avendo nello sviluppo delle capacità cognitive delle nuove generazioni, a partire dai nativi digitali, ma ripescando anche quei baby boomers che, al netto di meme, battute e giochi da tavolo, si sono invischiati come pesci ignari nella grande rete globalizzata. Eppure, sebbene sia facile indicare gli untori, riconoscere i movimenti truffaldini e puntare il dito su coloro che si arricchiscono propinando le nuove dipendenze della società occidentale, non bisogna diventare partigiani di un’idea anacronistica, quale potrebbe essere un idilliaco ritorno alle buone e vecchie usanze di un tempo. Innanzitutto, perché buone non erano e, secondariamente, perché tentativi del genere sfociano spesso nell’accettazione del proprio contrario. Quindi, rullino i tamburi e squillino le trombe, oggi si parlerà bene della rete, del web, di quel Far West mediatico che con il tempo sta assumendo le fattezze di un luogo d’incontro dove il popolo – entità inesistente – viene forgiata a suon di cookies, fake news, indagini di mercato e di tendenze.

Per gli addetti ai lavori, e io lo sono tanto parzialmente da tenermene fuori, la rete non è sempre stata così come la vediamo e sfruttiamo oggi. Ci sono state diverse fasi che si sono succedute, ognuna con le sue caratteristiche, potenzialità e coni d’ombra. Il web 1.0 era, ad esempio, una terra di nessuno, un luogo ancora inesplorato e ricco d’oro. Una miniera del Klondike, un meteorite composto di metalli preziosi e, soprattutto, un insperato ponte srotolato su tutto il globo. Non che la sua accessibilità fosse prevista ovunque, ricordo bene quanto nella stessa Italia Internet si sia incuneato con il tempo e a fatica, ciononostante i suoi pioli erano spuntati come funghi e non si aspettava altro che l’avvento di un gran costruttore in grado di formare queste benedette scale virtuali. Il primo laccio della rete è quindi quello di fornire dei servizi e delle interfacce che gli utenti possano usare in tranquillità, dimezzando i tempi della burocrazia e, di tanto in tanto, concedendo ai fruitori di non alzare le chiappe calde dalla poltrona di casa o dell’ufficio. Si sperimentava molto, nella versione 1.0, e valenti menti si sono messe alla prova per scandagliare le possibilità di questo mezzo che, diciamocelo, faceva gridare al miracolo. Quanto facilitava le cose! Era come aver sviluppato un software per garantire la telepatia alla razza umana! Addio cataloghi di carta, pagine gialle, moto accelerato per raggiungere le destinazioni! Il futuro è qui, nella comunicazione digitale! Alcuni, coraggiosi, hanno qui cercato di entrare in contatto con il proprio Io manifestandolo apertamente, senza le mediazioni previste dalla … convivenza sociale. Ed ecco che un individuo apparentemente timido esibisce il suo lato più estroverso, un altro temerario invece quello più intimo, ripiegato e riflessivo.
E vogliamo noi limitarci a questo? Ovviamente no! In questo trionfo scientifico ecco che il progresso – perdonate le continue banalizzazioni – insinua la sua spina fruttifera e dà luogo alla nascita del web 2.0. In questa nuova versione, aggiornata e migliorata, la rete diventa un network in cui l’interazione è al centro di tutto. Il popolo, quel gruppo non meglio distinto di individui a cui si dà spesso la colpa della fine del mondo, entra in scena con le sue idee, la sua intraprendenza e la sua, innegabile, malizia. Ci si mette in proprio, ragazzi e ragazze. Si è studiato il mezzo, lo si è compreso in parte ed è giunto il momento di fare la propria mossa. Ecco che i blog, i forum, le chat e i social network si espandono a macchia d’olio, fagocitando e conquistando brandello per brandello lo spazio della comunicazione interpersonale. Siamo individui, siamo artefici, fabbri, del nostro destino per dirla con Pico della Mirandola, e questo spazio apparentemente illimitato va colonizzato, sviscerato e scoperchiato. Il virtuale, da mero strumento, da comodità poltronara – chiedo perdono per l’umorismo, ma è una mia esigenza – diventa parte integrante della vita di tutti i giorni. L’irraggiungibile smette di essere tale e le distanze, gli stessi luoghi dell’esistenza di tutti i giorni, si allungano, si comprimono, cambiano di segno e valenza. In tutto ciò, prevedibilmente, si sviluppano nuovi galatei e nuove etichette. I like, le condivisioni, i non mi piace, la notorietà in numeri, i quindici minuti di popolarità, i meme, l’ironia, le bolle, le nicchie e così via, tutto si sviluppa nel fertile campo del 2.0. Vi ricordate quei coraggiosi che, nella versione 1.0, avevano deciso di esplorare la propria personalità dando voce a quelle istanze che solitamente ignoravano per quieto vivere? Nel 2.0 hanno imparato il trucco, si sono fatti più furbi che intelligenti, e hanno sviluppato su quella via una sorta di costruzione illusoria. Un’impalcatura di glitter, esperienze fantastiche e pensieri profondi. L’Io, in vetrina, si è ritrovato così specchiato non una, ma infinite volte, in un caleidoscopio – fa sempre figo usare questa parola – di luci in competizione.
Ci basta? Ovvio che no. Ed eccoci giunti alla nuova frontiera, alla rete ricca di upgrade, ai pescatori 3.0. L’Internet 3.0 è difficile da definire perché ci siamo immersi con tutte le scarpe. Un adagio saggio e popolare recita quanto sia difficile rendersi conto delle cose finché non le si perde o supera. In questo caso lo applicherei. Internet si sta arricchendo sempre di più. Di materiali professionali e di bugie. Di Intelligenze Artificiali e covi di complottisti. Di informazione sana e di sicari a pagamento. Il tutto con un andamento esponenziale che, di fronte ad una razza aliena, ci consentirebbe di affermare: “questi siamo noi, nel bene e nel male”. Ecco l’Internet che si fa Metaverso – neanche fossimo in un film Marvel – , Metadato, Database universale e Biblioteca globale e acronica. Ed ecco noi stessi, tra la realtà virtuale e quella aumentata, tra la spesa consegnata sotto casa e l’estensione del frutto della conoscenza in tasca. Non peggiori, non migliori, semplicemente diversi. Ibridi, come dicono alcuni, sebbene il pensiero mi metta un po’ in difficoltà. E dell’Io che ce ne facciamo? Internet lo ha sfidato, lo ha messo su un piedistallo e gli ha chiesto di confrontarsi con il mondo intero. Gli ha intimato di trovarsi, pena l’arrivo di una corrente impossibile da affrontare. Eppure, che di Io non ne esista solo uno, che non sia monolitico, lo sappiamo dall’inizio del Novecento. Saremo in grado di resistere ai continui urti? Io vi dico di sì.
Ma aggiungo un’altra cosa.
Non tutti. Non tutti ce la faranno. Non tutti ne hanno le risorse, la caratura mentale. E dovremo offrire una mano, se non tutto il braccio, a queste persone. Perché se io, anche tu, lettore, siamo sopravvissuti all’1.0, al 2.0 e al 3.0, chi ci dirà che saremo ancora in piedi al 7.0, all’8.0, al 27.0? Aiutare, in questo caso, è nell’interesse di tutti. Quindi troviamoci e sfidiamoci attraverso le nuove tecnologie senza rifiutarle acriticamente, ma ricordando che non tutto va subito, non tutto va accettato passivamente.

[…] has faced his other self …
he has obtained the facade used to overcome life’s hardships, the Persona Aureliano Tempera!


Photo by Alina Grubnyak

Una replica a “Io, te, Internet e una Persona”

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