Cento piani

L’arte dei giovani adulti di dimostrare vent’anni in più di quelli che possiedono ha raggiunto livelli stratosferici. A volte, trovandosi in un luogo affollato e pieno zeppo di persone, stupisce il tenore di certi discorsi. Lo stesso, occasionalmente, lo si può anche riscontrare nelle chiacchiere scambiate con amici, conoscenti e centralini telefonici. In sostanza gli argomenti trattati fanno capo alla sfera dell’impiego: lavoro, corsi universitari e di formazione, apprendistato nello studio del commercialista e vaghe ricerche compiute con un curriculum in mano e la fronte che ha una voglia matta di andare a sbattere da qualche parte.

La vita è fatta di stimoli. Gli stimoli sono quegli aghi a cui diamo la possibilità di penetrare la pelle e di colpire qualche nervo. Sono quei bisturi capaci di darci una scossa e di rivitalizzare questo nostro corpo ingrigito dal ritmo rutilante della routine. Non oso immaginare come possa essere una giornata vuota di scoperte. Cosa significa, anche alla lettera, svegliarsi e poi addormentarsi senza aver fatto nulla di degno di nota? Dov’è la vita in questa riproduzione meccanica di una serie di azioni sterili quanto un terreno cosparso di scarti atomici? Non c’è, l’elettrocardiogramma è piatto, l’orchestra ferma e un po’ annoiata.
La giornata è composta da un numero variabile di ore di veglia. Alcune di esse, spesso troppe, vanno dedicate a quelle che possiamo definire incombenze. In soldoni, dei compiti che ci piace portare a termine per il mero scopo di portarli a termine. Sono faccende vuote, utili solo a perpetuare sé stesse, eppure fondamentali visto che è proprio senza di esse che verrebbe a cadere il ponte di stuzzicadenti che è la quotidianità nella modernità liquida. Ecco perché alcuni servizi come Audible e Spotify stanno monopolizzando l’attenzione cosciente dei nostri cervelli che da tempo hanno dimenticato il vago benessere dovuto alla meditazione passiva e al puro far niente. Ci sono sempre un momento da riempire, una finestra d’attesa da colmare e un’attività povera d’interessi da accompagnare al ricco ascolto di un saggio sugli investimenti online oppure ad un manuale di botanica avanzato le cui nozioni andranno ad infilarsi proprio lì, esattamente, tra il non-mi-ricorderò-niente e il bota-che?
È bello avere la sensazione di non aver sprecato tempo. Ed è ancor più bello confessare a noi stessi, sussurrando al cuscino in piena notte, che anche stavolta la regina s’è mossa come desiderava sulla scacchiera e che nessuno – poi chi sia questo nessuno è tutto da stabilire – potrebbe recriminare sul nostro modo di impiegare questa maledizione ad occhi aperti che è la veglia. È come se ci fosse un piccolo esserino al quale rendere conto. Me lo immagino come una minuscola fata vestita da investigatore privato che fa domande banali e irritanti alla fine di una giornata stancante. Ed è subito tutto un “avresti potuto fare questo invece di quest’altro”, “ah, è così che impieghi il tuo privilegio?” fino ad arrivare ad un sordido “quanta fortuna sprecata”. Ebbene sì, questa fata sboccata non ha timore di dire quello che pensa. A conti fatti, non esistendo davvero, non può subire alcun tipo di ritorsione da parte nostra. Ci arrabattiamo alla caccia di una quiete lontana che immaginiamo il frutto di tanto lavoro, impegno e sudore. Ci scalmaniamo quando qualcosa infrange i nostri piani di cristallo, quando un evento improvviso calato dall’alto turba l’equilibrio perfetto della comfort zone. Anche nel caos più totale, nella disorganizzazione della mente più lunatica, ecco apparire lo schema – sotto forma di foglio in Excel – del corretto utilizzo del dispositivo denominato corpo. Il concetto è semplice, sebbene seguirlo sia tutto un altro paio di maniche.
Siamo tanti e nessuno può avere tutto. Le risorse vengono consumate alla velocità della luce e non c’è l’ombra di una nuova fonte da depredare che faccia al caso nostro. Ambiamo a posti al sole limitati e, purtroppo, spesso riservati. Ci facciamo avanti a spallate, seguiamo le regole del gioco anche quando siamo ben consapevoli del fatto che altri, da qualche parte, ci stanno sottraendo possibilità attraversando canali inaccessibili ai più. In sostanza, o si combatte con le armi giuste, oppure si finisce in una delle due schiere che popolano i bordi delle strade e gli androni delle palazzine: i falliti o gli alternativi.
Lavoro, lavoro e ancora lavoro. Formazione continua, competizione indefessa e ambizione a palla, come le casse di una macchina che sfreccia nel deserto alle quattro del mattino. Lavoro che, ormai, non conduce necessariamente al successo e formazione che, purché continua e rispettata come un sacramento, rischia di confrontarsi con la perdita di senso generale delle cose. Del resto, trafficare con la conoscenza è bello quando ti forniscono i mezzi per farlo. O anche solo quando ti viene concessa la libertà di esprimerti. È molto ammirevole conoscere la Commedia a memoria, ma se non puoi far altro che declamarla ai cactus è un po’ come tentare di affogare il mare oppure di scaldare la lava di un vulcano. Si può fare. Magari dietro ci si può anche costruire tutta una filosofia zen, ma insomma, a noi che stiamo qui a sussurrar stupidaggini ci suona come l’ennesima cazzata.

Una veglia trascorsa a ragionar così è una veglia sprecata, benché, drammaticamente, questi pensieri abbiano un fondo di cruda verità.
Ed è sprecata perché ogni loop ha un fondamento di tragedia, ogni sistema presuppone un Altro esterno dal quale difendersi. Non tutto andrà come previsto. Forse si hanno meno chance del previsto di modificare il flusso della propria esistenza. Ma cadere ad ogni dubbio e fasciarsi la testa ad ogni scalino è un po’ come cadere da un grattacielo alto cento piani e morire … cento volte. L’impatto arriverà, ma sarà uno, uno e soltanto uno. Nel mentre ci si può ancora sbizzarrire.
Non è il caso di piegarsi al fatalismo così come non è esattamente sano modellarsi sulle proprie mansioni operative. Non siamo il nostro lavoro, il nostro esame universitario, né tantomeno i nostri arrovellamenti disillusi su un mondo che pare destinato al collasso. Pensiamola così, ragionamenti simili sono frequenti nella storia, ciononostante innumerevoli individui hanno continuato a vivere, ad arrabbiarsi, gioire, amare e spaccare ogni cosa. Ricordiamo che nel nostro piccolo è sempre possibile fare qualcosa.
Un buon punto di partenza, ad esempio, sarebbe quello di non parlare sempre ed esclusivamente di quel che materialmente facciamo ma di lasciare anche spazio ad altro. Al pensiero ludico, artistico e astratto. Ai momenti di svago intellettuale e a quelli beceri, da taverna fantasy. Alla noia e al birdwatching. Al dare due calci ad un pallone consapevoli che non si diventerà mai giocatori professionisti e all’eseguire piroette nella sala da ballo di un locale senza la pretesa di diventare Roberto Bolle.

Photo by Samson

5 risposte a “Cento piani”

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