Violenza ed estetica stracciona

Ecco a voi un giovane uomo del ventunesimo secolo, che poi sarei io, incapace di mostrare in qualsiasi forma una delle espressioni più istintive dell’essere umano. Forse in questo sono perfettamente allineato con i nostri ruggenti anni Venti, fatti di battaglie che sembrano in grado di scuotere gli equilibri geopolitici globali: perché mangiare il detersivo potrebbe essere una pessima idea e perché dà molto fastidio al pubblico vedere un personaggio sul grande schermo stravolto, modificato, ricreato per qualche stramba esigenza di mercato.
Roba che farebbe cadere i governi più stabili del mondo, nemmeno Andreotti avrebbe saputo cosa fare di fronte a questi dilemmi post tutto, postcoloniali, postgenerazionali, postfemministi, postmodernisti, postpost.

Uso questa ironia spicciola e un po’ dissacrante per sparare a zero su tutto, non ho bersagli precisi in quanto tutto è diventato un bersaglio. Funziona come per l’autoironia, ci si auto-demolisce così da non permettere ad altri di fare altrettanto. “Cosa gli vado a dire ormai? Quale argomento creare ad hoc per dipingerlo in maniera peggiore?” E’ un momento complicato per i critici, ormai debbono farsi loro i massimi conoscitori dei propri nemici.
Parlavamo di una mia mancanza, di un’assenza caratteriale che mi rende automaticamente un pessimo compagno d’armi. Anche perché, e perdonate l’ennesimo inciso, chi mai vorrebbe un volevo-fare-lo-scrittore come compagno d’armi?
Mancanze, assenze caratteriali, ironia. Meglio focalizzarsi sul topic della discussione.

Torniamo alla violenza. Ne esistono due tipi che poi hanno la straordinaria capacità di riprodursi come conigli. Sto parlando della violenza fisica (un genere secondo me superato, demodé quanto un Western lento) e della violenza psicologica (che mai tramonterà in quanto siamo esseri fatti di percezioni e rispose fisiologiche, alla faccia dell’arousal). Nella seconda penso di cavarmela piuttosto bene, all’occorrenza sarei in grado di concatenare una combo di silenzi studiati, espressioni significative e parole pacate e per questo taglienti come rasoi di Occam, mentre per la violenza del primo tipo credo di non essere geneticamente o biologicamente pronto. Nonché filosoficamente ed esteticamente, ma quella è tutta un’altra faccenda.
Nonostante io trovi che la violenza abbia un suo fascino (intesa come impatto, forza evocativa, immediatezza, quindi analizzata a partire da alcuni dei suoi tratti fondanti) non riesco tuttavia ad apprezzarne la ruvidezza concreta.
La trovo brutta e piatta, banale e sciocca, poco creativa, inutile se non portata all’estremo (e in quel caso al ribrezzo si sommerebbe l’orrore per qualcosa di irreparabile che si sa, agli esseri umani fa un po’ schifo).
La violenza fisica lascia segni delebili, transitori, poco aggraziati ed eleganti. Segni che dimostrano l’incapacità di raggiungere un compromesso, di elaborare un’alternativa che non faccia regredire allo stato di bestie maleodoranti e vagamente primitive. Necessita addirittura di un impegnativo sforzo fisico! I lividi spariscono, le cicatrici vengono coperte dai tatuaggi, tutto passa in accordo con le leggi fisiche. E cos’è che resta? Il ricordo, la sensazione sgradevole, l’urto psicologico. La violenza fisica duole quando diventa mentale, quando al danno si somma la beffa, quando un’azione perde i suoi connotati concreti fino a diventare una dimensione astratta.
L’ansia di un bullo, la riscossione di un pizzo da parte del mafioso di turno, il panico di fronte ad una persona armata, il terrore provato di fronte al cassiere che ti dice che la carta che gli hai appena dato non è più valida.

Mi sto rendendo conto che tutto questo discorso sta sfociando in una serie di consigli per aspiranti molestatori mentali. Non è così, ve l’assicuro. Io condanno ogni tipo di violenza.
Ma, se proprio dovete, picchiatemi senza fare strani giochetti. Alla faccia non ci tengo, alla testa sì.

  1. E’ sicuramente così, ma ormai alla mia età ho imparato a fregarmene anche del galateo, preferisco dire quello che penso,…

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