Una barchetta

“Una barchetta, una barchetta, una barchetta” direbbe Lady Orlando di fronte alla pretesa di poter spiegare la vita, di poter racchiudere in una sentenza, un aforisma, anche un’intera enciclopedia, il succo dell’esistenza. Se ne ha di tempo per imbastire enormi castelli di carte, per cercare le pedine giuste e far sì che dall’alto, dalla classica posizione distante e privilegiata, il domino assuma l’aspetto che ci prefiguravamo di ottenere.

Una barchetta contro tutto ciò che è troppo ordinato. Contro ciò che non può deragliare né essere altro che sé stesso. Perché, in fondo, ideare un criterio e applicarlo, in poche parole fare le pulizie, è un’azione necessaria che ha il solo scopo di rassicurarci. L’unico? No, forse no. Sicuramente però costituisce una parte cospicua della sua anima. Quando si costruisce qualcosa a partire da una risorsa grezza come la realtà è difficile non perdersi nei meandri della costruzione. Non c’è malta bastarda che tenga, non esiste legante in grado di unire dei mattoni così volatili, così effimeri.
“Oggi ho incrociato i passi con un cane randagio, aveva le orecchie penzoloni e una lunga coda attorcigliata”, “l’insegna di un negozio non più in attività è stata accesa per sbaglio, chissà da chi” e “ho usato gli stessi ingredienti di sempre per preparare la carne. Perché oggi è venuta meglio del solito?”
Regoli imprecisi, mai della lunghezza adatta. Ecco cosa sono le impressioni della vita.
“Di giorno ho pensato a Dio, ad un Dio, non so quale, ma ci ho pensato”, “Quale è la natura delle relazioni umane? Perché sentiamo il bisogno di intrecciarle?” e “Arriverò a fine mese con questa paga striminzita?”
Il demone socratico spunta dal suo scantinato solo per fare a cazzotti con il genio maligno di Cartesio. Ci deve essere un filo rosso che tutto riconduca ad un nucleo comprensibile. Deve esserci un cuore in tutte queste vicende, un approdo da raggiungere, un tunnel dal quale uscire. E’ un viaggio e in quanto tale non stiamo camminando alla cieca, ognuno in un piano diverso, come rette parallele ma ancora più irraggiungibili.
“Non sono riuscito a raggiungere il mio obiettivo, ci ho lavorato per anni ed ecco il risultato. A mani vuote, sono a mani vuote di fronte ad una stazione di benzina”, “Non parlo con mia figlia da quando aveva tre anni. Adesso, ne dovrebbe avere circa diciassette. Non so cosa le piaccia, come sorrida. Non conosco il suo ragazzo, la sua ragazza, l’assenza che a loro due ha sostituito. Non ricordo il suono caratteristico del suo pianto né le pulsazioni del suo cuore. Caro diario, cambiamo argomento. Oggi ho vinto una discreta somma alla lotteria” e “Sono una donna di legge e ho sparato ad una persona. Nemmeno ne ricordo il sesso, l’altezza, il colore dei capelli, l’andatura. Eppure, saprei descrivere nei minimi dettagli la sua pesantezza. Il tonfo della sua caduta, il rigagnolo rosso che ha tagliato l’asfalto a metà. Sono una donna di legge e ho fatto quel che dovevo. Mi hanno lodata, mi hanno promossa. Ogni congratulazione mi ha fatto sentire peggio. Ho fatto la cosa giusta e io mi sento male, ho fermato un criminale ed io mi sento male.”
Sistema, un sistema che funzioni. Filosofi, a raccolta! Abbiamo bisogno di una qualche categoria, di un pizzico di sostanza e di tanta auto-suggestione! Dateci un secchio di calcestruzzo, gli strumenti da lavoro e fateci impastare. Diteci come unire un fatto all’altro, seppur sembrino così incongruenti. Mostrateci come completare questo puzzle di pezzi che parlano tutti una lingua diversa. Ci basterebbe una triade hegeliana, un iperuranio platonico, una città divina alla Sant’Agostino o il visionario progetto di un Bruno. Elargiteci una chiave, il grimaldello adatto a scardinare il vaso di Pandora.
Come?
Andateci di testa? Che intendete?
Di capoccia? No entiendo tu idioma.

“Una barchetta, una barchetta, una barchetta” era quella che vedeva Lady Orlando. In uno stagno in un bel parco inglese di metà Ottocento. Barchetta che poteva essere tante altre cose. A sua detta anche l’imbarcazione del marito, impegnato nella sua crociata personale, ossia superare Capo Horn in piena tempesta. Oppure altro. Semplicemente altro. Il galeone dell’ammiraglio Nelson, una galea romana, una affusolata e implacabile nave vichinga. No, ovviamente era solo una barchetta, in uno stagno, nella Londra di metà Ottocento. Una Londra, tra l’altro, che può non essere mai esistita. Ma questo lo tralasceremo ai fini della nostra osservazione.
Questa barchetta rappresenta una possibilità, una zattera se vogliamo. E’ l’idea di un senso che non si costruisce solo, o necessariamente, in maniera razionale, logica e coerente. E’ lo spunto iniziale di una riflessione che vorrebbe colmare il vuoto di significato tra i ricordi, le impressioni e le azioni, attraverso una forma molto personale di carpe diem. L’oggi, l’ora, è questo il cemento della vita. Il modo di attraversare salubremente gli eventi e il mondo. Perché, suggerisce questa barchetta, l’universo non ha bisogno di un motivo per sopravvivere. E così tutte le sue componenti non senzienti.
Questa barchetta, che adesso più che una zattera sembrerebbe un’ancora, vuole essere un appiglio per rivalutare il presente e inglobare il passato in vista del futuro. Passato dal quale si può imparare molto, ma al quale non ci si può legare come le cozze al proprio scoglio.
La barchetta può salpare e dirigersi dove preferisce, essere il veliero di Sandokan o il Nautilus del Capitano Nemo. E poco importa che sia un povero modellino per far divertire i bambini e gli amanti delle piccole cose. Questo esercizio creativo, aver dato così tante identità al nostro soggetto, ci ha portato per un momento altrove. Ci ha permesso di dimenticare la legge, la fortuna, il matrimonio, la religione, il successo, le faccende quotidiane. Il tutto in un salto analogico, un “salto nel buio” avrebbe sussurrato Kierkegaard.
Tutte quelle costruzioni per mettere insieme cose tanto distanti si sono rivelate, almeno per qualche momento, superflue. Pesi da sgravare.
L’inutilità, vuole Lady Orlando.
L’estasi, desidera Lady Orlando, tessere la propria storia senza doversi stringere nelle maglie di una rigida ragione che tutto-vede-e-tutto-sa.
La letteratura, ecco un antidoto a questo immenso morbo classificatore che ci attanaglia. Ma la letteratura, insomma le storie, nata spontaneamente, disinteressata, caratterizzata da una sana voglia di essere inutile.
Un regalo ad altre persone, magari proprio a quelle che stanno faticando a fare i conti con la domanda più vecchia del mondo.
“Che senso ha tutto questo?”

“Un’estasi, un’estasi, un’estasi”.
“Ma non è una risposta!”
“Una barchetta, una barchetta, una barchetta.”


Photo by Ahmed Zayan

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