Raccogliere conchiglie

Il quadro generale è sempre molto allettante. Scorrere con le dita sulle statistiche, sulle percentuali e sui tassi di incidenza di un fenomeno è come toccare con mano le tessere della realtà. Quando sotto la doccia, in fila alle casse del negozio per animali oppure seduti sulla panchina buona e soleggiata del parco pensiamo a quel che ci circonda e razionalizziamo gli infiniti processi che danno vita al corso dell’esistenza, spesso incappiamo nell’antica arte di fare di tutta l’erba un fascio.

Ebbene sì, prendiamo una determinata etnia e le affidiamo certi connotati specifici, accarezziamo l’idea di essere noi stessi, in fondo, uno stereotipo che ha ereditato certi sogni e desideri solo per sentito dire, perché fin da piccoli, attraverso la famiglia, la scuola e le strutture che dispensano servizi quali sport, passatempo e allegra compagnia, siamo stati instradati sulla via del si-ritiene-giusto-così. Non è una mossa cosciente quella che porta gli adulti ad offrire ai più piccoli, ancora genuinamente malleabili, un surrogato della propria vita misto a qualche nuova tendenza in voga nel bel mondo e, per questo, non è neanche condannabile. Eppure, ci si confronta costantemente con i grandi numeri delle notizie al telegiornale, con le aspirazioni di un nonno che ha dato tutto per crescere un figlio e poi un nipote e che adesso sogna una gentile rivincita col mondo e con i tipi tondi e particolareggiati che emergono, anzi, che si stagliano, sulla carta di un romanzo, sulla tela di un dipinto e sul marmo di una scultura. Ogni esempio, etimologicamente, ispira imitazione ed emulazione. Un esempio è ciò che, se seguito, può rendere una persona migliore, un atteggiamento meno tossico e la convivialità civile fluida e scorrevole come quella di un torrente ingrossato dalla pioggia. Questi modelli sono la base del nostro immaginario, scavano nella nostra mente delle nicchie fruttifere che in men che non si dica danno vita a veri e propri giardini pensili di Babilonia. In questo processo, però, spesso i significati tendono a divenire astratti, dei puri concetti. Gianni, Maria, Lucrezio, Pantolfo, l’omino della pubblicità del sapone diventano “persone”. Calcio, basket, pallavolo, tennis e pallanuoto diventano “sport”. Il cielo, le nuvole, gli uccelli e i fulmini diventano “sopra”. L’abbandono scolastico precoce, la disoccupazione, il lavoro sommerso, il caporalato e la condotta dei Neet diventano le figurine di un albo chiamato “fenomeni sociali”. A furia di categorizzare il reale ci ritroviamo in mano una corposa lista di etichette. Sono utili, anzi utilissime, quando dobbiamo rievocare un’informazione oppure un ricordo, ma lo sono meno quando è il tempo di trarre delle conclusioni verosimili e tirare i fili di una qualsiasi vicenda. Dimenticare che Gianni non è solo una persona che gioca a calcio, ama osservare il cielo ed è stato costretto ad abbandonare la scuola per aiutare con l’attività di famiglia è un reato commesso nei confronti della sua dignità. E correlare questi scampoli di informazione al fatto che si sia macchiato di un crimine non è necessariamente la via migliore per comprenderne le vere intenzioni. L’abbandono scolastico, qui, entra in scena con prepotenza e ci rievoca fatti di cronaca e aneddoti sentiti come voci di corridoio. Ed ecco che spuntano e si affastellano idee come delinquenza, inerzia, mancanza di volontà, violenza e pericolosità. Tutto ciò ha a che vedere con la singola persona che tutti chiamano Gianni? Con questo ragazzo che sognava la Serie A, si è ritrovato a confezionare maioliche e a causa dei debiti finanziari della ditta ha speculato, ignorando il significato di questo termine, su fondi gentilmente offerti da un assistente di banca senza scrupoli? C’è uno scoglio, un inciampo inevitabile, quando si tratta di indagare a fondo le verità degli altri: si hanno pochi, pochissimi dati per farlo. E ciò che non si conosce viene colmato da quel che già si conosce. Ecco che inizia la giostra delle libere associazioni, il carosello dei termini del vocabolario che si inseguono formando l’identikit di una persona fittizia, inesistente, probabilmente la mistificazione di un essere umano reale che meriterebbe rispetto, comprensione e tuttalpiù un consiglio. Questo ragionamento, sebbene esposto con il caos di un non addetto ai lavori, è alla base della presunzione d’innocenza, tanto per dirne una. Ma quel che volevo affermare non ha niente a che vedere con i meccanismi della giustizia. L’esempio spampanato di Gianni non parla tanto di questa figurina che ho inventato sul momento, bensì ci racconta qualcosa su noi stessi. Quelli che quando aprono un giornale – facciamo finta che ciò accada con frequenza – leggono di invasioni di popoli stranieri, di aumento della delinquenza, di giovani scapestrati che hanno l’unico sogno di diventare famosi online, di mammoni che non si allontanano dalla sottana materna se non per succhiare lecca-lecca colorati e di cervelli in fuga, manodopera in fuga, sogni in fuga … siamo noi. Noi, che ripetiamo queste parole agli amici e ai conoscenti. Noi, che perpetuiamo il verbo condividendolo con alacrità. Noi che, figli degli stereotipi, del retaggio culturale e di una società occidentale fortemente omologante, ci siamo persi nelle maglie della rete informatica, tra onde di codice binario, per donare senso ad una vita sprofondata nel mare magnum della proliferazione di infinite possibilità che non vengono colte.
Noi, noi, noi.
Aspettate, noi?
Ma questa non è altro che un’altra generalizzazione! Un altro quadro generale da strapazzo. È ancora lei, maledetta, l’antica arte di fare di tutta l’erba un fascio!

Amici miei, perché lettori mi sembra riduttivo giunti a questo punto, non credete mai – se vi va – a chi vi incasella in un gruppo enorme di gente sconosciuta. Non credete a chi vi assicura di aver compreso quel che siete, quel che fate, semplicemente da qualche piccolo spunto. A volte, le vostre ragioni possono essere scontate, banali e facilmente intuibili. A volte, indecifrabili e solo a voi note. Ed è l’insieme di queste due tendenze a far di tutti noi esseri brillantemente contraddittori e affascinanti. Quando avete l’impressione di seguire un binario prestabilito ricordate di poter fare, quasi alla lettera, quel che volete. Questa libertà a volte va sudata, non sempre si dispone di tanta fortuna, e in tal caso la scelta migliore è impegnarsi e ottenerla. Semplicistico, lo so, ma è meglio di abbandonarsi all’idea che “ormai le cose vanno così e devo accontentarmi”.

Due amici mi perdoneranno se rubo uno scampolo della loro vita reale.
Ho incontrato il primo a poca distanza da casa sua. In quel periodo stava studiando da diventare matto per l’ultimo esame del suo percorso universitario. Faceva freddo, tirava vento ed eravamo a meno di cento metri dalla spiaggia. Ad un certo punto, mentre camminavamo, mi aveva detto una cosa sorprendente:
Questa mattina ho fatto una passeggiata sul lungomare.
Aveva poco tempo libero, tutti i giorni era immerso in una routine sfiancante eppure, al posto di crogiolarsi in casa, aveva deciso, così, di fare una passeggiata contro il vento, il freddo e la prospettiva di starsene comodo e al caldo, magari a guardare una bella serie tv.
Insieme, abbiamo raggiunto il secondo amico che sto per derubare.
Era sulla spiaggia, da solo, e inizialmente l’avevamo scambiato per un puntino nero, uno scoglio. L’abbiamo raggiunto con i cappucci calati in testa e le sciarpe attorno al collo a mo’ di boa constrictor. Lui, serafico, i capelli al vento, raccoglieva conchiglie. Avevamo, e lo dico per inciso, un appuntamento con un quarto amico di lì a breve. Eppure, con la serenità di tre bambini, ci siamo messi a raccogliere conchiglie. Già che c’eravamo perché non dare una mano?
Con la sabbia di gennaio nelle scarpe abbiamo raggiunto la macchina e abbiamo guardato una scatola di cartone mentre veniva riempita fino all’orlo di stupende conchiglie arancioni e bianche.

Spero sia passato il messaggio.

Photo by George Girnas

3 risposte a “Raccogliere conchiglie”

  1. Che bel post, la tua capacità di scrivere, il tuo modo di farlo, è davvero una dote! Detto questo hai ragione, è così, siamo influenzati nel giudicare da quello che ci è stato detto e insegnato nel tempo, però credo che, ad un certo punto, si possa pensare con la propria testa e farsi la propria idea sulle cose e persone in via autonoma. Personalmente non do importanza a come uno si veste, alle scuole che ha fatto, al lavoro o non lavoro che fa e cose simili, ma solo a come si comporta, con me e con altri. Certo anche questo non è sufficiente ma è anche vero che non si può conoscere tutto di una persona, vicende personali e avvenute negli anni. Il giudizio certo è sempre pronto ad emergere, però si può cercare di tenerlo a bada il più possibile. Buon inizio settimana.

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  2. Hai uno stile di scrittura davvero molto bello, mi ha stupito. Purtroppo certi preconcetti sono difficili da distruggere e, per quanto sbagliati, sopravvivono ancora e vengono anche diffusi. La cosa migliore sarebbe quasi azzerare le nostre conoscenze e guardare tutto con occhi nuovi.

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    • Un esperimento che mi piacerebbe condurre sul serio, con persone di carne e ossa. Ahimè, in pochi accetterebbero un affronto simile. Quel che ci resta da fare è comportarci assecondando questa nostra riflessione perché chissà, potrebbe essere d’aiuto a qualcuno magari

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