PoesiaUno: Nascondere le impronte

Nascondere le impronte non è mai facile, soprattutto oggigiorno. Non lo dico solo perché siamo abituati, maledettamente abituati, a registrare e tenere traccia di ogni nostra singola azione, ma per una pura e infantile constatazione secondo la quale l’esistenza ha una sorta di taccuino magico pieno zeppo di tutte le informazioni che hanno contribuito a formarlo. Non sto dando la colpa ad Internet, incredibile ma vero, sto anzi affermando che una “rete” strutturata attorno a dei “files” esiste da tempo immemore e ne siamo anche sempre stati consapevoli.
Era più facile da ignorare, questo sì. Meno fastidiosa e così bisognevole di attenzioni costanti.

Perché parlare di assenza colmando una distanza che, di fatto, sta generando una presenza? Ingombrante per di più, come molti simpatici noterebbero a ragione. Cosa spinge un autore anonimo, che si nasconde addirittura dietro il folle velo di un nome d’arte spudoratamente parlante, a esplicitare qualcosa di sé in maniera tanto contraddittoria? Il desiderio che porta al silenzio non convive facilmente con il bisogno della scrittura e dell’espressione, che sia auto o eterodiretta. Eppure, il silenzio parla una lingua tutta sua e si fa sentire, si manifesta, si intestardisce a tal punto da diventare pagina scritta, parole al vento, testimonianza.
Ed è per questo che dietro tante impalcature traballanti, dietro un Io nascosto in bella vista, mi ritrovo nella scomoda situazione di chi cerca di dir di sé in maniera reticente, quasi a voler depennare le frasi subito dopo averle scritte.
Un filo in questo discorso c’è, sebbene lo reputi difficile da cogliere e seguire. Complesso non in quanto elevato, ma semplicemente per il suo essere stratificato. Il filo in questione è il mio personale modo di intendere la poesia. O meglio, il modo che ha trovato la poesia per scavare dentro di me una nicchia senza idoli e santini, fatta di frasi fumose come l’incenso, ma vere e sentite come uno schiaffo. E’ un’impresa olimpica spiegare cosa significhi in termini concreti parlare attraverso i versi ed è altrettanto titanico trasmettere l’idea di una forgia tremenda che sputa fuori dai suoi antri incandescenti dei grumi metallici apparentemente incompleti, dalla forma a volte contorta, ma spesso, per un delicatissimo scherzo del destino, giusti come non sarebbero potuti essere altrimenti.
E’ come ritrovarsi davanti ad una scultura assurda in una piazza anonima, raggiunta non si sa bene come e non si sa bene perché, e venire folgorati non dalla sua bellezza, ma dalla sua indicibile potenza. I versi che cerco di comporre non vogliono essere esteticamente validi nonostante io tenti di metterli in comunicazione con una tradizione talmente illustre che se si potesse personificare mi lancerebbe via con una schicchera e non hanno nemmeno la pretesa di suonare melodiosi, pregni di significato originale e rivoluzionario.
Sono il frutto di un tentativo contorto e ambivalente.
Sono la formula magica cercata a tentoni nel buio, quando non ti serve e nessuno te l’ha chiesta.
Sono forse la rappresentazione più pura di un istante che si fa creazione e di una creazione che in virtù di questo istante cerca di rendersi comunicazione. Dame esigenti, me ne rendo conto, e dai vestiti ben lontani dalla perfezione.
Eppure, una parvenza di eleganza sussiste, un accenno di compiutezza è presente. Il Sé è apparso e come un pesce scaltro è tornato sotto la superficie del mare.

Per me impelagarmi in questi arrovellamenti è una passione. La mia particolare “sfida al labirinto”, rivista in chiave puramente personale ed esistenziale. Scrivere queste frasi significa dar voce ad un principio razionalizzatore, che chiamerei Ordine, capace di fornire un piacere molto peculiare. Lo definirei una specie di anestetico intangibile, un balsamo invisibile, nulla a che vedere con unguenti dei troll, paccottiglie maleodoranti ed erbe medicamentose.

Ordine impone il giusto pizzico di rigore e una discreta quantità di supercazzore a quanto pare. Chiederei anche perdono per l’assenza delle solite battute argutissime ma ho l’impressione che getterebbe una luce sbagliata su tutto il discorso. Del resto, l’autobiografia è una materia ben strana! Più cerco di raccontare, più prendo vie secondarie per deviare l’attenzione e generare un nuovo mistero. Altro che mistero buffo! Qui ce ne sono solo di sciocchi.
Me ne compiaccio.

3 risposte a “PoesiaUno: Nascondere le impronte”

  1. Be’ io penso che chi scrive, come me, come te, sia legato ad una tenaglia. Da una parte scrive per liberarsi, per fare ordine, per ritrovarsi e progredire, tutto nell’intimità di un quaderno o di un file da cui si teme il distacco e che si ha molto timore di render pubblico. Dall’altra, quasi inconsciamente, regna sovrano il bisogno di condividere il turbamenti di quei pensieri molto ingombranti, un po’ per egocentrismo, un po’ perchè si ricerca corrispondenza, in segreto. La poesia poi è un fascio di nervi difficile da spiegare, eppure chi la legge in qualche modo riesce sempre a capire quel che il poeta vuol dire e credo che sia proprio nella poesia il mezzo di far parlare le emozioni, di spiegarle dettagliatamente, rendere l’etereo qualcosa di improvvisamente accessibile a tutti. E poi credo che la scrittura, che sia prosa o poesia, sia godimento e far godere! Hai uno stile scrittorio che mi piace molto! Di solito mi piace leggere estratti o articoli brevi, ma sono rimasta incollata fino all’ultima parola 🙂

    Piace a 1 persona

    • Ti ringrazio del commento per due motivi in particolare. Innanzitutto credo che condividere dei pensieri, di qualsiasi tipo e natura, sia un’attività che si arricchisce soprattutto nel momento in cui riesce a nascerne un dialogo e, perché no, anche una sorta di confessione. Secondo, ma non meno importante, apprezzo tantissimo quando qualcuno partecipa ad una discussione aperta senza aver prima ricevuto una sollecitazione o un invito di qualche tipo. E’ così che si dovrebbe sviluppare il dibattito culturale, partecipando senza la paura di risultare fuori posto o scomodi, inadatti o paradossalmente troppo adatti, quasi scontati.
      Lasciando da parte il mio strano incipit, sono d’accordo con la tua riflessione sulla tenaglia. Non avevo mai formulato l’idea usando quella immagine, ma la trovo davvero azzeccata. Scrivere è anche un modo per dare una veste elegante, mediata e curata a quei “pensieri molto ingombranti” di cui hai parlato tu. Non che io sia dalla parte dell’arte intesa come puro artificio, per carità, ma credo che ogni pensiero adornato del giusto contesto possa splendere di più che non se lasciato allo stato brado. E da questo ne traiamo godimento, come darti torto!
      Per concludere volevo anche ringraziarti per il complimento, non sono bravo ad accettarli, ma ti assicuro che si è fatto sentire.

      Piace a 1 persona

  2. Confronto per me è sempre una ricchezza, a prescindere magari dalla diversità di opinioni, anzi, direi soprattutto! Ma alla fine è il bello dell’arte: l’artificio, rendere bello, originale, particolare, quasi giustificare per mezzo dell’arte, un concetto o un pensiero. È come se fosse un “libera tutti”, per tutto.
    Figurati!

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  1. Be’ io penso che chi scrive, come me, come te, sia legato ad una tenaglia. Da una parte scrive per liberarsi, per fare ordine, per ritrovarsi e progredire, tutto nell’intimità di un quaderno o di un file da cui si teme il distacco e che si ha molto timore di render pubblico. Dall’altra, quasi inconsciamente, regna sovrano il bisogno di condividere il turbamenti di quei pensieri molto ingombranti, un po’ per egocentrismo, un po’ perchè si ricerca corrispondenza, in segreto. La poesia poi è un fascio di nervi difficile da spiegare, eppure chi la legge in qualche modo riesce sempre a capire quel che il poeta vuol dire e credo che sia proprio nella poesia il mezzo di far parlare le emozioni, di spiegarle dettagliatamente, rendere l’etereo qualcosa di improvvisamente accessibile a tutti. E poi credo che la scrittura, che sia prosa o poesia, sia godimento e far godere! Hai uno stile scrittorio che mi piace molto! Di solito mi piace leggere estratti o articoli brevi, ma sono rimasta incollata fino all’ultima parola 🙂

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    • Ti ringrazio del commento per due motivi in particolare. Innanzitutto credo che condividere dei pensieri, di qualsiasi tipo e natura, sia un’attività che si arricchisce soprattutto nel momento in cui riesce a nascerne un dialogo e, perché no, anche una sorta di confessione. Secondo, ma non meno importante, apprezzo tantissimo quando qualcuno partecipa ad una discussione aperta senza aver prima ricevuto una sollecitazione o un invito di qualche tipo. E’ così che si dovrebbe sviluppare il dibattito culturale, partecipando senza la paura di risultare fuori posto o scomodi, inadatti o paradossalmente troppo adatti, quasi scontati.
      Lasciando da parte il mio strano incipit, sono d’accordo con la tua riflessione sulla tenaglia. Non avevo mai formulato l’idea usando quella immagine, ma la trovo davvero azzeccata. Scrivere è anche un modo per dare una veste elegante, mediata e curata a quei “pensieri molto ingombranti” di cui hai parlato tu. Non che io sia dalla parte dell’arte intesa come puro artificio, per carità, ma credo che ogni pensiero adornato del giusto contesto possa splendere di più che non se lasciato allo stato brado. E da questo ne traiamo godimento, come darti torto!
      Per concludere volevo anche ringraziarti per il complimento, non sono bravo ad accettarli, ma ti assicuro che si è fatto sentire.

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  2. Confronto per me è sempre una ricchezza, a prescindere magari dalla diversità di opinioni, anzi, direi soprattutto! Ma alla fine è il bello dell’arte: l’artificio, rendere bello, originale, particolare, quasi giustificare per mezzo dell’arte, un concetto o un pensiero. È come se fosse un “libera tutti”, per tutto.
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