Cosa fare dopo aver concluso la lettura dell’ennesima intervista affrontata mirabilmente da un’autrice nostrana dallo spessore internazionale? Far finta di rispondere a delle domande che nessuno ha mai posto, ovviamente. Di sicuro ognuno di voi ha dedicato molto tempo a qualcosa nella vita e magari è arrivato addirittura a chiamare questo impegno passione. Cosa succede quando ci si innamora tanto di un passatempo, di uno sport, di un qualsiasi mestiere? Si pensa all’istante in cui una platea di esperti del settore si congratuli per i risultati ottenuti.
Sono davanti allo specchio per provare il discorso per ringraziare la giuria degli Oscar per avermi dato questo inaspettatissimo premio e allo stesso tempo sto provando lo stacchetto per mostrare al mondo perché proprio io, uomo sicuramente non adatto ad apparire, sia diventato la velina di punta di un programma televisivo in prima serata. Uno a caso.
Solo io mi immagino commosso ma composto sul palco dei Nobel? Solo io accetto virtualmente il premio per la pace e quello per la letteratura insieme?
Se sì, meglio per voi e, sotto sotto, anche per me.
Aureliano Tempera (d’ora in poi AT): Iniziamo senza troppi preamboli. Mettiamo caso che io non abbia letto il suo libro, cosa potrebbe dire per convincermi che ne vale la pena?
Gianmarco Papi (d’ora in poi GP): Salve, be’, innanzitutto la ringrazio per la sincerità, perché sono sicuro che il libro non l’abbia letto. Comunque. Posso dirle che in questo libro ho cercato di raggiungere un equilibrio tra la mia vena più poetica e quella più prosastica. Avevo l’intenzione di creare delle storie legate tra loro da un filo rosso ora sottilissimo, ora quasi ingombrante. Il tutto mescolando tra loro generi diversi, partendo dal fantasy e approdando fino al realismo magico e al racconto dell’orrore. Credo valga la pena avventurarsi in questi racconti per due motivi: primo perché essendo piuttosto corti non richiedono di prendere le ferie per leggerli e secondo perché in essi ho cercato di rappresentare dei personaggi vivi e non delle marionette. Le loro storie mi hanno accompagnato per mesi e hanno catturato me per primo. Ho vissuto con loro, ho penato con loro, ho gioito con loro. Ma non ho pianto con loro, perché io non piango. [N.d.I. l’autore ha riso dopo questa affermazione, in maniera piuttosto inquietante]
AT: Vedo che ha molta fiducia in quello che ha scritto. Fiducia immotivata, me lo permetta. Proseguiamo con la prossima domanda. Perché ha scelto di intitolare il libro così? Perché affiancare ad una parola di uso comune un sottotitolo lungo e apparentemente sdolcinato?
GP: Mi piace il suo sarcasmo. Il titolo del libro nasce da una scelta meditata e dalla volontà di costruire un mondo narrativo stratificato, nello spazio come nel tempo. I racconti, nella mia intenzione primaria, avrebbero dovuto avvicendarsi l’uno all’altro permettendo al lettore di godere della singola storia ma anche di aggiungere un tassello all’universo via via in costruzione. Ogni racconto ha senso se preso singolarmente e lo si può apprezzare anche senza tenere presenti gli altri, ma leggerli come capitoli di un romanzo permette di cogliere delle piccole risonanze significative che cambiano e arricchiscono il contesto nella sua interezza. Mi scusi, sta sbavando, non si addormenti [N.d.I. era un riflesso dovuto alla luce, non saliva]. Questo intendo per “universo gentile”, nonostante di risposte ne esistano a milioni, tutte variamente nascoste nelle parole dei personaggi e nello svolgimento delle vicende. C’è anche una buona dose di mistero, non sarebbe male approcciare la lettura col piglio dell’investigatore.
AT: Quindi, perché “Momenti”?
GP: Già, mi scusi, avevo perso quella parte della domanda. I “momenti” sono il fulcro magico di tutte le storie. Istanti di sospensione nei quali tutto sembra possibile. E a volte questa possibilità diventa tanto concreta da sembrare una magia, una follia, un evento sovrannaturale. Credo che nella vita di tutti i giorni siamo soliti camminare sopra e attorno a delle faglie invisibili. Siamo costantemente raggiunti da impressioni difficili da catalogare, sentimenti intensi e pensieri non giustificati. Siamo attratti dalle coincidenze, attribuiamo un valore alla superstizione sia in positivo che in negativo e in alcune situazioni percepiamo delle cose per le quali una vera etichetta non esiste. In questi momenti di chiarezza, o annebbiamento, speciali tendiamo ad essere colpiti più facilmente dal flusso della vita e dal suo movimento incessante. Prendiamo un uomo di chiesa che si infervora per il semplice gesto di un artigiano, un banchiere che si annulla di fronte ad un tramonto mozzafiato e un turista che non ha i mezzi per comunicare ma che si sbraccia per condividere che in una buca sull’asfalto è nato un ecosistema nuovo, mai visto. Non vorrei suonassero come delle situazioni vuote e stereotipate. Io nel libro ho cercato di mettere le mani in questo humus e di trarne tutta la vita possibile per ribadire ancora una volta che l’esistenza è un’occasione speciale, da non buttare e sottovalutare. Dalla crepa sull’intonaco della vecchia palazzina chiamata casa potrebbero spuntare delle piante insospettate, sul fondo del caffè comparire il risultato giusto della schedina della sera stessa e da un incontro fortuito, consumato attraverso due sguardi assonnati incrociatisi sulla metro, nascere un sentimento nuovo, violento, intenso, e magari prima nemmeno desiderato.
AT: Sì, bene, okay. Grazie mille. Che ne dice di riprendere l’intervista in un secondo momento? Magari anche in un terzo, quarto, quinto …
GP: Ottima idea. Lo vede che anche lei ha capito la bellezza dei “momenti”?
[N.d.I. La troupe ha dovuto allontanarmi dall’autore per evitare colluttazioni]
P.S. Nessuna persona o pseudonimo giullaresco è stato maltrattato ai fini della stesura di questa intervista del tutto attendibile e necessaria.
Photo by Sam McGhee