La logica è la configurazione di un fatto, di un avvenimento o di un concetto. È lo scheletro della realtà, la scaletta scritta a penna dal Grande Orologiaio prima di comporre il testo della natura. Ogni fenomeno ha “una sua logica”, al contrario, semplicemente, non potrebbe accadere.
Si sa con certezza che esiste una legge fisica chiamata gravità. Una mela che cade da un albero, ci insegna l’aneddoto da nonno rimbambito di Newton, attraverserà lo spazio che la separa dal terreno fino a quando non si schianterà al suolo per la gioia dei bruchi al suo interno. L’osservazione di un simile fatto porta alla seguente constatazione: quando le cose cadono, cadono, tutte, immancabilmente, a meno che non intervengano degli elementi esterni di qualche tipo (una mano, la staccionata di Tom Sawyer, il bilanciere di un culturista). Ciò significa che si può instaurare un nesso causale tra l’evento A e l’evento B.
A = La mela si stacca dal ramo (per una folata di vento, per l’azione martellante di un uccello vorace?).
B = In assenza di ostacoli, precipita fino al suolo (che altro non è se non l’ostacolo più vicino).
Cosa unisce le prime due lettere dell’alfabeto? La gravità (alfa-beto, alfa-beta, vi suona familiare? Scherzi a parte …). La logica dietro questo avvenimento è stata quindi svelata con semplicità. Nei fatti, una configurazione, lo schema che sottende a un processo, può essere espressa ed esplicitata in diversi modi. Qui, ci si avvale di una formula matematica, altrove si potrebbero utilizzare delle parole chiave, dei pennarelli colorati, tanti brandelli di pongo, una torta rustica.
La logica, in filosofia, può essere formale oppure materiale. La prima indaga la struttura interna del pensiero in sé, la seconda il rapporto che intercorre tra il pensiero e i suoi contenuti. Come a dire che la prima disciplina si occupa del contenitore, quindi della forma nel senso più largo possibile, e la seconda del contenuto prelibato di questo barattolo di confettura mentale. Seguendo questa linea interpretativa del termine “logica” si approda ai recenti studi che la prendono in considerazione sottoforma di ragionamento deduttivo. Cosa evoca questa definizione? Rigore, mancanza di sfumature, algidità (direbbero i fan del Magnum), confini precisi e invalicabili, condizioni necessarie e sufficienti. In una parola, Aristotele, quel vecchio brillante e un po’ pesante di Aristotele (mi avvalgo della facoltà di definirlo così a causa della sua veneranda età, circa 2300 anni e spicci). In questo senso, la logica si ammanta di qualità investigative alla Hercule Poirot, non ammette, o non sembra ammettere, la possibilità che qualcosa le sfugga da sotto il naso. Il meccanismo non può incepparsi, è tutta questione di premesse, spirito d’osservazione, arguzia e sagacia (acribia direbbe lo storico greco Erodoto). Possedere tutte le informazioni preliminari è condizione necessaria e sufficiente a risolvere il caso, o l’enigma, che si tratti di un omicidio, del furto del fuoco da parte di Prometeo oppure del caffè rubato da Paolo e Luca al povero Silvano. Alla fine di questa indagine c’è una figura vaporosa e delicata, deliziosa e vacua. Sempre lei, signore e signori e signorschwa, la Verità. Detective, giornalisti, scrittori molto schierati, filosofi e dipendenti che ricevono mobbing aziendale di questo si cibano, di vere cose vere. Per loro, Lei, è sopra ogni cosa, è il criterio che tutto regola e verso cui tutto propende. Se qualcosa, o qualcuno, si dimostra in difetto nei suoi confronti, saltano all’attacco come avvoltoi, scattano come Beep Beep e non accettano di essere fregati alla stregua di un Willy il Coyote qualsiasi.
Eppure, ciononostante, tuttavia, ciò detto, esiste ancora l’altra definizione, quella più generica certamente, che conferisce alla struttura di un evento, qualsiasi struttura, un’importanza non secondaria, non eludibile. In questo sistema, emerge anche l’altra faccia della medaglia dell’umanità. Da una parte, nel suo angolo di ring, si staglia la Logica pura, forte e verissima, dall’altra l’Emotività (in mancanza di nomi migliori), più scontornata e all’apparenza meno sicura sui suoi piedi, ma impossibile da sottovalutare. I due combattenti sono complementari, si compensano a tal punto che non può emergere un vincitore unico. La logica è metodica, tenta di leggere i movimenti dell’avversaria, prevede le sue mosse e agisce di conseguenza. Trova le falle nel sistema, prende i punti deboli e li spezza con una fetta di pane rappreso. L’emotività, invece, lotta con lo stile marziale dell’ubriaco. Ci sono buone ragioni per il suo essere quel che è ma … scarta a sinistra quando dovrebbe andare a destra, si tira un jab da sola perché, nel dubbio, perché no? E infine saltella intorno all’avversaria con il cervello che calcola l’impossibile. Come finisce questo scontro?
In completo pareggio. In equilibrio, non statico, bensì dinamico.
Nella vita è bene mantenere calmierate queste due divinità esigenti, pena l’estremizzazione della propria identità. Tuttavia, è proprio quando l’identità si forma, rafforza e propaga che bisogna scegliere a chi dare la propria palma. Sono gli individui a scegliere chi sarà il vincitore morale dell’incontro.
Una lettura capace di mettere in scena una “logica” di tipo diverso è Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll. Al di là dei numerosi adattamenti animati e cinematografici che ha ottenuto, è bene non limitarsi alla loro visione oppure piegarsi omertosamente sull’idea che sia un libro per l’infanzia. Il genere letterario di appartenenza è la fiaba, questo è innegabile, e di sicuro è stato scritto con l’intenzione di irretire un pubblico prevalentemente infantile. Ma questo non deve trarre in inganno, la breve e gustosa vicenda di Alice si può apprezzare a tutte le età. Anzi, questa esperienza di lettura ha molte affinità con la visione del film di animazione Shrek (che mi auguro voi abbiate tutti visto): da bambini e ragazzini viene visto e apprezzato per determinati motivi (l’ironia a tratti grossolana, il mondo parodico che trapela anche senza avere coscienza del fenomeno, il tratto caricaturale e macchiettistico, la storia dall’impianto classico ma rivisitato, i personaggi memorabili) mentre, raggiunta una maggiore consapevolezza delle cose, si trasforma in un vero e proprio gioiello della comicità (con qualche incursione nel territorio della riflessione). Alice nel paese delle meraviglie è un’avventura piuttosto corta (sia diegeticamente che extradiegeticamente) che si avvale del linguaggio per scardinare il buon senso e il ragionamento deduttivo. A + B non è uguale a C in quanto somma degli attributi di A e di B. Semmai, mi scuseranno i docenti STEM, A + B = Rabarbaro in quanto NOME di A + NOME di B, se mescolati, possono ricordare, anche per motivi sciocchi, la parola, per l’appunto, rabarbaro. Chiaro, nevvero?
L’arguzia di questa fiaba sta tutta nella continua sorpresa che coglie il lettore. Le sue aspettative vengono non solo deluse e disattese, bensì riconfigurate durante il corso dell’esperienza. Il divertimento nasce da una sorta di gioco investigativo dell’assurdo che si instaura tra il favoloso, paradossale e contraddittorio Paese delle Meraviglie (meraviglia tutta barocca, altro che vittoriana) e il common sense del lettore. Anche il più esperto, smaliziato e arguto tra voi troverà pane per i propri denti. In caso contrario, vi meritate di mangiare brodo di finta tartaruga a ripetizione.
Photo by Paolo Nicolello