Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dall’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Sempre caro, cos’è sempre caro? Cosa dura per sempre? Nulla. Può qualcosa rimanere stabile nella mia mente, un sentimento, un desiderio, un luogo? La casa dell’infanzia, andata insieme alle valigie perse nei traslochi. L’oratorio, svanito nel fumo delle prime trasgressioni giovanili divenute cosa, avvelenamenti adulti. La baracca sull’albero, distrutta né dal tempo, né dalla speculazione edilizia, bensì dall’abbandono di coloro che tanto amorevolmente l’avevano costruita. E ancora il parco giochi divenuto solo parco, la spiaggia mangiata dal mare, il centro commerciale divenuto parcheggio e di nuovo centro commerciale. Le amicizie altalenanti come una funzione sinusoidale.
Mi fu, ecco il nostro verbo, o meglio, il nostro tempo verbale. Non c’è spazio per il presente e nemmeno per l’imperfetto, alla faccia del carpe diem e del wabisabi, qui siamo nel passato remoto del cursus honorum e delle guerre puniche.
Quest’ermo colle. Ermo. Solitario, come eremo, ma senza una e. Ermo colle. Cosa mi sta a significare un ermo colle? È il grattacielo più alto della città, forse. L’insegna al neon di un locale notturno. La scintilla continua di una sala slot abitata da peccatori e infelici. Ermo. A trovarlo un posto simile. Tranquillo, sereno, locus amoenus delle palle tra le cellette d’api che chiamiamo appartamenti. Un condominio di sconosciuti! Eccolo l’ermo colle, il colle isolato.
E di questa siepe cosa dire? Strano che non sia già stata potata.
L’ultimo orizzonte, nascosto addirittura, ma che non mostra niente di meno di quello che dovrebbe mostrare. Che sia coperto, velato, nascosto, è sempre tutto in bella vista. Vetrine, nient’altro che vetrine in ogni dove. Negozi, social, finestre. Il mare, il cielo. Tutto mi specchia, mi spedisce quel riflesso tra capo e collo dove sa che sono vulnerabile. Non c’è esclusione che tenga, tutto scorre in diretta. Eccoci alla prossima notizia, reti da pesca in mano, bei lanci, hop! (come la speranza inglese, ma ancora senza una e).
Ma sedendo e mirando interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo ove per poco
il cor non si spaura. /
Ma sedendo e mirando interminati spazi vedo il contorno degli edifici, le punte malconce degli alberi, le scie lasciate dagli aeroplani, i panni stesi sulle ringhiere, i fili con le mutande penzoloni, le antenne del digitale terrestre martoriate dai piccioni, i bastoni allungabili per tirar giù le tende dal divano.
E i sovrumani silenzi! Sovrumani, innanzitutto, non è parola da usarsi. Io, come tutti gli altri, so tutto quello di cui ho bisogno. Cari miei, non ci fregherete mai più. Ho letto un articolo stamattina sulle cellule staminali. Un post sull’aborto e uno sulla libertà d’espressione. Mi hanno mandato un video interessantissimo sugli equilibri geopolitici condotto dalla guardia di sicurezza di un magazzino. Non esiste nulla di sovrumano, il divino è retrocesso alla dimensione tecnologica. Non serve approfondire, la nostra è una mente espansa e cibernetica. Siamo cyborg multifunzionali. Siamo l’evoluzione della specie circondata da chi parla ancora di razze. E poi il silenzio! Sciocchezza, sciocchezza immane. L’arrotino, il traffico, le urla della televisione sentite attraverso spesse mura. Gli insulti e i complimenti lanciati per strada, gli scaricatori alle prese con il turno notturno e le canzoni della radio, i mitici anni Ottanta, la dance, qualcuno sbraita sul comodo e brillante divanetto del canone rai.
… e profondissima quiete! Le bombe al telegiornale, ecco la quiete. La crisi del grano, del gas, i vaccini che signora mia fanno male o fanno bene, fanno bene o fanno male. La dose numero n e il numero n dei contagiati. L’n dei morti e l’n dei guariti. L’ennesima statistica testimonia la mancanza di partecipazione democratica. Agosto blocca tutto, il governo cade, l’astensionismo monta, i politici al sole chiacchierano della luna.
Il pensiero ha poco da fingere e fingersi, il soggetto ha poco tempo di realizzare e realizzarsi. Eccoci di fronte ad una semplice equazione matematica. Ma l’evasione è fondamentale, importante! Che dire, l’unico toccasana in questo gramo mondo pronto a scoppiar come un melograno.
È ovvio che il cor non si spaura, cos’altro potrebbe fare poverino? Le scelte sono poche, aprir partita IVA oppure lustrare le scarpe al simpatico padrone che in virtù di qualche battuta si sente in potere di dire “la gavetta, la gavetta”.
/ E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. /
E come il vento siamo sbattuti in ogni direzione. Vola il capitale nelle transazioni d’oltreoceano, volano i colletti hipster e tatuati nelle prime classi, volano … le aspettative di lavoratori e persone, PERSONE, inchiodate al suolo.
Odo stormir tra queste piante bestemmie e cha cha cha, musica da ballo, tango e lambada, che non si sa mai che nel giorno del giudizio a qualcuno vada di danzare in pubblica piazza senza il bisogno di registrarsi. Giorno del giudizio che, annunciato ormai non si sa più nemmeno da quanto, gradirebbe di sicuro d’essere posticipato.
Io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando perché altro non mi rimane da fare: i messaggi vocali hanno raggiunto minutaggi da partite di pallone. Ma voi lo ricordate il giuoco del calcio? Sì? Allora barbari! … ma non è ciò che dice “questa voce”, aspetta aspetta, sentiamo meglio …
e mi sovvien l’eterno! E le morte stagioni! E la presente e viva, e il suon di lei! Finalmente si ragiona, finalmente qualcosa da mettere sotto i denti. Qui, tesoro di un poeta, iniziamo a parlare la stessa lingua. L’eterno è una bugia, ma si sa che i poeti mentono, che si vuole rendere reale tramite un archivio digitale. Ben venga, chissà che per la cronaca nera del futuro non prendano spunto dalle nostre grandi gesta. Le morte stagioni del noir, del giallo e del foro, non romano, ma pur sempre alla latina. Morte per modo di dire, dalla grande falce traggono spunto, senza esagerare. Ah, il suon di lei, presente e viva, ma in casa, ad obbedire, oppure in piazza a tagliar … capelli. Strano mondo di neri e bianchi!
/ Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Stavolta nulla da commentare.
Ma quel dolce, quel maledetto dolce, sarebbe da rivedere.
Photo by Kelly Sikkema